L'esercito degli Stati Uniti è attraversato da una piaga subdola e silenziosa che pochi conoscono e di cui ancora meno parlano. Il mensile GQ ha provato ha rompere il muro di silenzio riguardo agli abusi sessuali nei confronti dei militari di sesso maschile. Secondo il giornalista Nathaniel Penn un uomo che si arruola nell’esercito statunitense aumenta la probabilità di venire aggredito sessualmente di dieci volte. Dati del Pentagono confermano che ogni giorno 38 militari subiscono abusi sessuali. Quasi 14mila casi nel solo 2012. Ma nell'81 per cento dei casi le vittime preferiscono non parlare.
L'omertà è dovuta al culto della viriltà instillato nei militari durante l'addestramento che li porta a concepire la denuncia come un'umiliazione maggiore della violenza stessa. Spesso chi denuncia si trova di colpo isolato dal resto dei compagni di unità, rischiando persino l'internamento in strutture sanitarie militari dove la comprensione per le vittime è minima. In molti si sono sentiti rivolgere dai medici frasi del tipo "figliolo, gli uomini non vengono violentati" o “Ti è piaciuto, vero? Dai dimmi la verità”.
In più per evitare che le spese sanitarie per il veterano ricadano sulle casse del governo si è affermata la prassi di congedare i militari che hanno subito abusi con la diagnosi di disturbo della personalità, una patologia pre-esistente all'arruolamento e quindi non imputabile al servizio nell'esercito. A questo si aggiunge che prima dell'approvazione nel 2011 della Don’t Ask Don’t Tell i soldati maschi violentati da altri maschi potevano essere persino congedati dall’esercito con disonore per aver avuto un rapporto omosessuale.
Unendo un congedo con disonore a una diagnosi di disturbo della personalità si aggiunge il danno alla beffa. Costretti a lasciare l'esercito gli ex militari si vedranno anche rifiutare la maggior parte delle possibilità lavorative. Anche le strutture create per assistere le vittime sono concepite quasi esclusivamente per pazienti di sesso femminile. "Mi hanno mandato via diverse volte. C’è una specie di muro che dice “non può essere successo a te, tu sei un uomo” confida un membro dell'aereonautica a Penn.
La legge statunitense sta cercando di arginare questa piaga, prima di tutto trasferendo i processi dalla magistratura militare a quella civile. Un primo passo è stato fatto con la Victims Protection Act che permette alle vittime di scegliere tra una corte militare o civile, quando l’aggressione è avvenuta fuori da una base militare. Secondo molti però la legge mantiene lo status quo perché non spezza il principio della catena di comando all’interno dell’esercito.
Infatti l'errore che fanno in molti è concepire la violenza come un impulso sessuale, associandola quindi alla sfera dell'omosessualità. Ma è l'esigenza di potere e controllo a guidare la violenza. Spiega Penn James Asbrand, psicologo militare: “le reclute, spogliate della loro volontà, non possono mettere in discussione l’autorità.
Un certo tipo di soldato di alto grado richiede prestazioni sessuali ai sottoposti esattamente come richiede loro di ritirare il suo bucato. Un certo tipo di recluta violenta un suo pari in una perversa imitazione della struttura di potere: ti possiedo totalmente”- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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