Shit holes letteralmente vuol dire «buchi di merda» ed è l'espressione che Donald Trump ha usato per indicare Paesi come Haiti o Salvador da cui arrivano fiumi di disperati illegali senza alcuna particolare abilità, affetti da depressione, crisi endemica refrattaria alle cure che può offrire la modernità e, quando il cinquantesimo presidente ha chiesto perché mai l'America dovesse cercare nuovi cittadini assumendoli dagli shit holes anziché per esempio dalla Norvegia si è scatenato il solito noiosissimo inferno che accompagna ogni sua gaffe. Trump lo sa benissimo e se ne infischia delle reazioni isteriche del mondo di sinistra in generale e di quello perbenista europeo e occidentale in particolare. Ma Trump segue una linea storica costante per gli Stati Uniti che hanno sempre deciso da soli se e chi ammettere sul suolo patrio.
Quando i progenitori liguri dell'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani furono ammessi a emigrare da Genova negli States, gli italiani del Sud, da Napoli in giù, trovarono invece le porte sbarrate. Lo stesso accadde con ebrei e musulmani, russi e cinesi, che sono stati ammessi a ondate, secondo le scelte delle amministrazioni americane. Il leggendario sindaco italoamericano Fiorello La Guardia era uno dei boss della politica dei flussi anche grazie alle sue ascendenze irlandesi ed ebraiche oltre che italiane. Ma quel che decideva il comitato dei flussi era legge. Ed è quel che sostiene oggi Trump.
Recentemente gli Stati Uniti avevano rotto il trattato veramente antiamericano firmato da Obama che accoglieva le direttive dell'Onu quanto a immigrati. L'ambasciatrice Nikki Haley un mese fa spiegò all'imbarazzata assemblea del Palazzo di vetro che gli Stati Uniti non intendevano minimamente uniformarsi alle regole dettate dagli altri e che avrebbero seguito, come sempre, le proprie. Quando si è riunita la speciale commissione interpartitica per discutere con il presidente le nuove direttive migratorie, benché la riunione non fosse teletrasmessa, si è verificato l'incidente. Trump, che parla sempre come se si trovasse in uno dei suoi reality show (che concludeva stay tuned, come fa oggi con i suoi tweet) ha pronunciato le parole impronunciabili: paesi di merda, buchi di merda, postacci da cui io non vorrei far arrivare le prossime generazioni di americani. L'espressione è stata tradotta nei telegiornali italiani - subito aggrondati, superciliosi, vibranti di sdegno e disprezzo - con la parola «cessi», del tutto imprecisa.
Ieri pomeriggio Trump ha cercato di mitigare gli effetti del suo vocabolario ma nessuno ha apprezzato la sua marcia indietro: shit holes erano e shit holes restano Paesi come Haiti che divorano miliardi di aiuti per terremoti ed epidemie, sempre preda della peggiore barbarie. Le azioni di Trump dunque sarebbero in apparenza perdenti, ma in realtà la situazione economica che lo circonda è un trionfo: la Borsa seguita a volare e nessuno si azzarda più a dire che si tratta di una bolla speculativa. Il taglio gigantesco delle tasse ha portato le imprese a compiere gesti mai visti come l'immediato aumento degli stipendi minimi, con stupita euforia dei lavoratori. I posti di lavoro aumentano, Fca incassa profitti miliardari e insomma l'economia reale premia Trump mentre quella teatrale e mediatica lo vorrebbe all'inferno. Anche i rapporti col Regno Uniti sono critici per motivi di pura facciata. Sentendosi trattato con sgarbo e supponenza, il presidente americano ha declinato la trasferta londinese, ma sembra più una questione di ripicche diplomatiche che un problema strutturale fra i due Paesi che non sono mai stati così sintonici come adesso.
Trump sta diventando un personaggio dei media amati dal popolo di internet, la sua ricetta sembra vincente e lui pensa soltanto a recuperare in vista delle elezioni di mezzo
termine che diranno se è un re sole al suo apogeo o un'anatra zoppa che smetterà di starnazzare quando il gruppo politicamente corretto avrà ripreso il potere che The Donald con spavalderia e brutalità gli ha finora strappato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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