Il diavolo è nei dettagli. Soprattutto in Turchia. Soprattutto se a disegnargli ci sono il presidente sultano Recep Tayyp Erdogan e il fido premier Ahmet Davutoglu ideologo del neo ottomanesimo. Chi s'illude di vedere Ankara allineata con la coalizione guidata da Washington e pronta a combattere le milizie del Califfato farà meglio a ricredersi. Per capirlo basta la proposta d'intervento militare votata dal Parlamento di Ankara, che schiera diecimila soldati al confine con la Siria. Dietro l'iniziativa non c'è la preoccupazione per l'avanzata dello Stato Islamico o la volontà di allinearsi con gli alleati della Nato, ma solo il tentativo di dissimulare sotto altre forme le politiche siriane degli ultimi due anni.
Due anni durante i quali Ankara, oltre ad appoggiare i ribelli anti Assad, ha garantito aiuti, appoggi e libero transito sui propri territori ai tagliagole dell'Isis. Per comprendere gli intenti del «sultano» Erdogan basta esaminare le indiscrezioni d'intelligence, citate dal quotidiano Hurriyet , secondo cui Ankara «pianifica di creare una zona cuscinetto lungo il confine siriano, in particolare nelle aree controllate dall'Esl e dal Fonte islamico». Dietro l'eufemismo si nasconde il tentativo di occupare vaste aree alla frontiera siriana. Aree in cui assistere non solo i ribelli «moderati» dell'«Esercito Libero Siriano», ma anche la «macedonia» jihadista di un «Fronte Islamico» dominato dagli alqaidisti di Al Nusra. Aree più grigie che «sicure» in cui, per quanto riguarda i turchi, potrebbero pascolare liberamente anche i decapitatori dell'Isis. Del resto nell'iniziativa - presentata al Parlamento - non c'è alcun accenno alla partecipazione ai raid aerei contro l'Isis in Siria o Turchia. Secondo Hurriyet Ankara sarebbe invece «pronta a procedere anche senza l'aiuto di militari stranieri» alla creazione delle zone cuscinetto. Ovvero a muoversi in assoluta autonomia. La posizione di Erdogan sullo Stato Islamico è del resto nota. E non è certo assimilabile a quella del premier inglese David Cameron che ieri l'ha definito «malvagità pura» davanti al Congresso dei Tories. «Il terrorismo curdo del Pkk nel mio paese dura da 32 anni, ma il mondo - ha sottolineato lunedì un presidente turco in aperta polemica con l'Occidente - non se n'è mai preoccupato... Come mai? Semplice, perché non porta il nome Islam». Un atteggiamento non diverso da quello dei funzionari governativi di Sanhurfa, la zona di confine prospiciente le zone siriane occupate dall'Isis.
Funzionari vicinissimi secondo un articolo del giornalista Ahu Özyurt, pubblicato dal quotidiano turco Hurriyet , alle posizioni dei seguaci del Califfato. «Sono come noi, combattono contro i sette grandi poteri nella Guerra d'Indipendenza... Piuttosto che il Pkk - spiegano - preferirei avere come vicino lo Stato Islamico». Posizioni diametralmente opposte a quelle di Oscar Bergamin, uno svizzero convertito all'Islam responsabile dell'associazione umanitari islamica Ash Sham Care. Da Istanbul dove opera Bergamin ha inviato via tweet, al comando militare americano di Centcom, le coordinate di un bunker dello Stato Islamico prossimo alla frontiera turca aggiungendovi l'invito a «farlo saltare in aria». Intanto ieri a saltare in aria è stata una scuola in un quartiere alawita non lontano da Homs: l'attentato avrebbe causato, fra i morti, almeno trenta bambini.
Sul fronte iracheno invece, il premier Haider al-Abadi, fra i primi tempo fa ad invocare i raid statunitensi contro le postazioni dell'Isis, si è detto fermamente contrario alla partecipazione dei paesi arabi alle operazioni sul proprio territorio. Un chiaro segnale di come dietro l'apparente alleanza Washington Bagdad continui a muoversi il fantasma di Teheran.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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