Si discute tanto di libertà religiosa, in queste ore di corsi e ricorsi (più o meno storici) contro la legge regionale della Lombardia ribattezzata "anti-moschee".
I fedeli di ogni religione, si dice, devono poter praticare il proprio culto in tutta sicurezza. Ma se i giudici nostrani sono così solerti, cosa dire delle leggi vigenti nei Paesi a maggioranza musulmana? In Medio Oriente, in Nord Africa, in Indonesia i cristiani sono liberi di professare pubblicamente e senza correre rischi la propria fede?
La risposta potrebbe sembrare scontata, ma le dimensioni del fenomeno molto meno. In Arabia Saudita e in Qatar è vietata la costruzione di ogni luogo di culto non islamico, anche se l'emirato permette la presenza di piccole strutture private. Il vicino Kuwait invece lo permette solo formalmente, poiché le concessioni necessarie impiegano anni per divenire effettive. Negli Emirati Arabi, invece, è lo stesso governo a concedere il terreno, ma ai non musulmani è vietato fare proseliti, mentre agli islmaici è addirittura proibito di convertirsi ad un'altra religione.
In Marocco e Tunisia la situazione è leggermente migliore, con alcune chiese sopravvissute all'epoca coloniale, ma in altri Paesi con una tradizione di socialismo arabo a sfondo laico come Libia ed Egitto la situazione sta peggiorando a vista d'occhio.
Anche in Pakistan, Siria ed Iraq la pratica del culto cristiano è ogni giorno più difficile.Ma in Europa chi ne parla? La libertà di culto, a quanto pare, va garantita solo in Europa. Se altrove è calpestata, non vale la pena di denunciarlo.
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