Al grido di "Je me sens Charlie Coulibaly" ("Mi sento Charlie Coulibaly", il comico francese Dieudonné punta il dito contro l'ipocrisia dell'opinione pubblica che condanna l'attentato nella redazione di Charlie Hebdo, ma non fa nulla per difendere la libertà di espressione di uno dei personaggi più controversi della Francia. Un post per il quale l'artista - accusato a più riprese di antisemitismo e autore della "quenelle" - è stato indagato per apologia di terrorismo.
Ieri Dieudonné ha partecipato alla marcia per la libertà di espressione a Parigi. "Dopo questa marcia storica, che dire... leggendaria. Ma io rientro infine in me: sapete che stasera, per quel che mi concerne, mi sento Charlie Coulibaly".
"Ieri eravamo tutti Charlie, ma al ritorno dalla marcia mi sono sentito davvero solo. Quando io mi esprimo, non si cerca di capirmi, non mi si vuole ascoltare. Si cerca un pretesto per vietarmi. Mi si considera come Coulibaly mentre non sono diverso da Charlie", spiega Dieudonné in una lettera aperta al ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve, "Da un anno, lo Stato cerca di eliminarmi con tutti i mezzi. Linciaggio mediatico, interdizione dei miei spettacoli, controlli fiscali, ufficiali giudiziari, perquisizioni... Più di ottanta processi si sono abbattuti su di me e sui miei cari. E lo stato mi continua a perseguitare. Da un anno sono trattato come il nemico pubblico numero uno, mentre cerco solo di far ridere, di far ridere della morte, perché la morte ride di noi, come Charlie sa. Io voglio la pace".
Da tempo gli spettacoli di Dieudonné sollevano polemiche per i contenuti filopalestinesi e soprattutto per la
quenelle, un gesto osceno rivolto ai sionisti che il comico aveva definito come "un simbolo di disobbedienza al sistema". Un braccio teso mentre l'altro tocca la spalla opposta: il gesto viene considerato un "saluto nazista al contrario"- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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