La visita, a fine Aprile, del Ministro degli Esteri dell’Azerbaigian, Elmar Mammadyarov, non ha rivestito una particolare importanza solo perché proprio quest’anno cade il 25° anniversario delle relazioni diplomatiche fra Roma e Baku, ma anche, anzi soprattutto, perché tali relazioni rivestono, oggi, un particolare rilievo strategico sia sotto il profilo economico che sotto quello più squisitamente politico. Infatti in questi anni di rapporti sempre improntati alla cooperazione, Italia ed Azerbaigian hanno costruito sia un fitto intreccio di scambi e interessi che sempre più le hanno avvicinate, sia un’ancora più importante mutua comprensione culturale che potrà rivestire notevole importanza nel prossimo futuro.
Baku guarda all’Italia con molto interesse per molteplici ragioni. Il nostro paese è infatti una “vetrina culturale” di rilievo mondiale. Un aspetto che non andrebbe – come troppo spesso purtroppo avviene – trascurato, visto che costituisce il nerbo di quel Soft Power con il quale l’Italia può esercitare un ruolo importante sulla scena geopolitica mondiale. E proprio la significativa presenza dell’Azerbaigian alla Biennale di Venezia di quest’anno, con due mostre – curate da Emin Mammadov e Martin Roth – lo sta a dimostrare. La giovane repubblica azera infatti mira a far meglio conoscere a livello internazionale la propria cultura e storia, che sono la chiave di volta per comprendere una realtà complessa, un paese costituito da un mosaico stratificato di popoli e civiltà che si fonda sul principio di coesistenza e tolleranza culturale e religiosa.
Inoltre Italia ed Azerbaigian sono paesi accomunati dal comune legame vitale con la regione euro-mediterranea, essendo – sia sotto il profilo geografico che sotto quello storico – il Caucaso Meridionale il bastione orientale di questa, come dimostrano già gli antichi miti greci. Un legame che si va sempre più intensificando visto che l’Azerbaigian non è solo un grande produttore di gas e petrolio, ma anche uno snodo strategico della Via della Seta 2.0, quel fitto tessuto di strade, reti ferroviarie, pipeline e reti multimediali che sta innervando tutto il Sud della regione eurasiatica e che dovrebbe costituire il cuore di una nuova “area di prosperità e commerci” che si estenda dalla Cina sino alle nostre coste.
Di qui l’importanza di un progetto come quello della Trans Adriatic Pipeline che dovrebbe veicolare nel prossimo futuro il gas dei giacimenti azeri sino alla nostra Puglia. Un progetto strategico non solo per rifornire di energia il nostro sistema industriale – e che, per inciso, potrebbe rappresentare una grande occasione di rilancio per il Mezzogiorno – ma anche perché farebbe dell’Italia un hub strategico per la distribuzione del gas in tutta l’Europa meridionale. Permettendoci, quindi, il salto da semplice paese importatore – e quindi dipendente – a paese distributore, con importanti ricadute non solo sul piano economico, ma anche su quello politico all’interno della Ue. E non è appunto un caso che proprio contro la TAP si muovano, adducendo ragioni speciose e sventolando il vessillo di un dubbio ambientalismo, molte forze dietro alle quali, però, si possono intravvedere occhiuti interessi internazionali che vorrebbero continuare a tenere l’Italia in una condizione di subalternità. Va inoltre rilevato come l’Azerbaigian abbia prescelto come terminale e distributore del suo gas proprio il nostro paese in forza di un, ormai profondo, legame diplomatico e culturale, pur avendo di fronte proposte alternativa.
Infine agli occhi di Baku riveste un rilievo importantissimo il fatto che Roma assumerà per il 2018 la presidenza della Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). L’Italia ha infatti sempre assunto – in tutte le sedi – una posizione sulla tormentata questione del Nagorno-Karabakh favorevole ad una mediazione internazionale tale da ristabilire la pace nella regione caucasica. Una mediazione che contemperasse le garanzie per la minoranza armena del Nagorno-Karabakh con la salvaguardia della sovranità azera sulle province attualmente occupate dalle forze armate della Repubblica di Armenia. Una soluzione mediata, equilibrata, esente dalla pressione di lobby internazionali, con il preciso obiettivo umanitario di permettere ad oltre un milione di profughi azeri di tornare nelle loro case, e con quello più squisitamente geopolitico di spegnere un pericoloso focolaio di tensioni e conflitti in una regione strategica per gli equilibri mondiali quale è il Caucaso. Posizione, purtroppo, sempre inascoltata nel Gruppo di Minsk, il comitato internazionale deputato a cercare di dirimere la questione del Nagorno-Karabakh, e di fatto incapace di qualsiasi azione anche solo propositiva. E questo per le complesse dinamiche di una co-presidenza del Gruppo rivestita da Washington, Mosca e Parigi. Ovvio, quindi, che l’Italia in una posizione di rilievo come la presidenza dell’OSCE possa esercitare, finalmente, una più forte “persuasione morale” anche su questa tormentata questione.
È questo, naturalmente, quello che si spera a Baku; ed anche quello che potrebbe contribuire ad un forte rilancio del ruolo del nostro paese sulla scena della grande politica internazionale.Andrea Marcigliano
Senior fellow del think tank di studi geopolitici “Il Nodo di Gordio”
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