La Libia brucia e l'Italia non c'è

Il ministro degli Esteri è in Medio Oriente invece di occuparsi del Paese mediterraneo per noi più strategico

La Libia brucia e l'Italia non c'è

L'ultima speranza è che se la prenda Bruxelles. Ma non scommettiamoci. Anche lì non sono in molti ad invidiarcela. E così rischiamo di doverci tenere ancora a lungo Federica Mogherini, uno dei più irrilevanti ministri degli esteri della nostra Repubblica. Un ministro che mentre la Libia brucia e rischia la definitiva disintegrazione vaga tra Israele ed Egitto dedicandosi ad una questione mediorientale in cui, realisticamente, neppure la presidenza di turno dell'Ue ci consente di giocare un ruolo effettivo. Ma la colpa più grave del nostro ministro non è di esser in Medio Oriente. Né di starci al fianco dell'omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier, sperando di ricavarne benefici europei. La colpa più grave è di trascurare, nel mentre, quel che succede in una ex colonia asse cardinale dei nostri interessi strategici nel Mediterraneo. Un'ex colonia da cui, se continua di questo passo, rischiamo di non importare più né petrolio, né gas. Un'ex colonia che minaccia, invece, di travolgerci con un immigrazione fuori controllo e un terrorismo fondamentalista in rapida espansione.

Per capire che le sorti della Libia sono per noi assai più cruciali della tragedia israelo-palestinese non occorrono né l'arguzia di un Richelieu, né la lungimiranza di un Henry Kissinger. Basta leggere le notizie. Da domenica il Paese è sconvolto dalle scorrerie delle milizie islamiste che dopo aver innescato feroci scontri armati hanno bombardato a colpi di missili l'aeroporto di Tripoli. Il bombardamento, conclusosi con la distruzione del 90 per cento della flotta aerea e l'isolamento del Paese, ha spinto il governo di Tripoli ad ipotizzare la richiesta di un intervento armato internazionale. Il che avrebbe dovuto far sussultare sulla sedia il ministro. E spingerlo almeno a spendere due parole sulla questione. E non solo perché in Libia abbiamo un connazionale rapito, 200 lavoratori, circa 700 residenti con passaporto italiano ed una Eni impegnata nel difficile compito di continuare a pompare gas e petrolio. A fianco di questo patrimonio umano e imprenditoriale l'Italia mantiene anche responsabilità politiche e militari di primaria importanza. E non solo per la presenza di una missione impegnata nell'addestramento dell'esercito libico. Un anno fa Washington, confidando nelle capacità della nostra diplomazia e della nostra intelligence, ci ha delegato il compito ufficioso di esercitare una sorta di patronato politico militare sulla nostra ex colonia. Un'occasione non da poco per tornare a giocare un ruolo di primo piano dopo una guerra a Gheddafi che rischiava metterci completamente fuori gioco.

A quell'occasione, offertaci per arginare le ambizioni francesi, anche a costo di irritare gli inglesi, il nostro ministero degli esteri e il nostro governo continuano a rispondere con disarmante disinteresse. Informato prima di volare in Medioriente dell'inasprirsi della crisi il ministro Mogherini non ha saputo far di meglio che auspicare un intervento delle Nazioni Unite. Auspicio di rara lungimiranza visto che solo 24 ore più tardi l'intera missione Onu ha preferito far le valige e abbandonare Tripoli al proprio destino. Ma la prova più evidente della disarmante latitanza di un ministro abituato ad agire a colpi di tweet e comunicati stampa è l'assenza di qualsiasi presa di posizione sugli avvenimenti che stanno sconvolgendo Tripoli e dintorni.

Lontani, confusi e indifferenti rischiamo di subire una volta di più le iniziative di quei paesi come la Francia e l'Inghilterra che già nel 2011 cercarono di estrometterci da Tripoli e metter le mani sulle nostre risorse strategiche.

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