«Sono una rifugiata nel mio Paese. Abbiamo un razzo inesploso nel giardino. Un cecchino appostato sul minareto della vicina moschea che spara a qualunque cosa si muova. Italia, Russia, Stati Uniti, Francia devono fermare questa guerra» spiega con il groppo in gola Amal Salem. La comunità internazionale, però, sembra incapace di intervenire. Ieri a Pechino ci ha provato il premier italiano, Giuseppe Conte incontrandosi con il presidente russo Vladimir Putin e l' egiziano Abdel Fattah Al Sisi. Amal è una madre che dall' inizio di aprile vive con tutta la famiglia in una classe della scuola di Fornaje nel centro di Tripoli, dove hanno messo i banchi da una parte e i materassi per terra. La donna è una dei 39mila sfollati di Tripoli. La sua casa si trova vicino a Yarmuk sulla prima linea fra le forze governative e le truppe del generale Khalifa Haftar, che vogliono conquistare la capitale. Prima di rientrare dalla Cina il premier Conte ha lanciato l' allarme sul possibile arrivo di terroristi in Italia. Il conflitto in Libia, può «favorire una trasmigrazione di radicali islamici in Tunisia e in prospettiva in Italia. É un rischio che dobbiamo scongiurare». Al presidente russo Putin, che appoggia Haftar, l' Italia ha chiesto di «lavorare insieme a una soluzione» della crisi libica. «Dobbiamo evitare un' escalation che possa incancrenire la situazione e addirittura aggravarla - ha spiegato il presidente del Consiglio - Da questo punto di vista ho trovato disponibilità da parte di Putin e sicuramente ci sentiremo nei prossimi giorni». Stesso discorso con il presidente egiziano Al Sisi, alleato dell' uomo forte della Cirenaica. Il presidente del Consiglio ha sottolineato che «l' Italia non vuole interferire nelle attività belliche» in Libia «e mai lo farà. Il nostro Paese intende dialogare con tutti per una soluzione politica e mira a ottenere quanto prima un cessate il fuoco». Il generale Ahmed al Mismari, portavoce di Haftar, aveva intimato il ritiro dei 400 soldati italiani in Libia e dell' ospedale militare di Misurata. Conte ha dichiarato che siamo «disponibili a soccorrere sia i feriti del governo di Tripoli (Gna) che quelli dell' Esercito nazionale libico (Lna di Haftar, nda)». In realtà, al momento, abbiamo concesso visti sanitari per feriti soprattutto governativi. Le frasi pronunciate da Conte a Pechino «nè con Serraj (il premier libico, nda), né con Haftar» e di favore sulle intenzioni del generale «di unificazione del Paese e dell' esercito» ha scatenato i libici. I governativi storcono il naso temendo che significhi un voltafaccia dell' Italia, fino a oggi alfiere dell' appoggio al governo di Tripoli riconosciuto dall' Onu. Dall' altra parte della barricata esultano e la propaganda si scatena sui social. Una delle pagine Facebook con il simbolo dell' esercito di Haftar ha postato una foto datata di Conte che stringe la mano al generale. E un commento secco: «Russia, America, Cina, Francia e oggi l' Italia. Tutti hanno abbandonato Serraj e sostengono Rajma» la base di Bengasi dove risiede Haftar. Sul terreno le sudate, ma limitate avanzate governative, non hanno ribaltato la situazione di stallo. Il comando di Haftar continua ad annunciare la conquista di Tripoli entro il 6 maggio l' inizio del Ramadan, il digiuno islamico. La risposta arriva dal ministro dell' Interno, Fathi Bashagha, che dichiara: «Entro tre giorni ci sarà un attacco su vasta scala». L' obiettivo è chiudere in una sacca le forze di Haftar ancora annidate nella zona dell' aeroporto.
Dalle posizioni in prima linea a ovest dello scalo internazionale i governativi ci fanno vedere le truppe di Haftar a un chilometro di distanza. Mimetizzato fra gli arbusti, su una posizione elevata, un cecchino governativo spara un paio di colpi. Poco prima è arrivato un razzo Rpg dalla linee del generale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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