È il Santo Graal dei terroristi, il peggiore incubo dei capi delle agenzie d'intelligence occidentali. È la bomba sporca, l'atomica dei poveri, l'ordigno radioattivo capace di esplodere nel centro di una metropoli e inondare di radiazioni i suoi abitanti. I primi allarmi si diffusero dopo la caduta dell'impero sovietico quando ingenti quantitativi di materiale nucleare caddero nelle mani di trafficanti senza scrupoli. L'allarme diventò incubo alla vigilia dell'11 settembre quando i rapporti della Cia segnalarono i tentativi di Osama Bin Laden di mettere le mani sui componenti nucleari usciti dai laboratori pakistani. Tredici anni dopo, quell'incubo sta per diventare realtà. Qualche settimana fa, secondo le autorità irachene, almeno 40 chili di uranio radioattivo custoditi nei laboratori dell'Università di Mosul sono caduti nelle mani dei terroristi dell'Isis (Stato Islamico dell'Irak e del Levante). E a rafforzare il sospetto che l'Isis stia cercando di dotarsi di armi non convenzionali contribuisce l'attacco del 12 giugno scorso a un deposito a sud i Bagdad dove i militanti jihadisti hanno messo le mani su centinaia di tonnellate di componenti chimici dell'epoca di Saddam Hussein.
I primi a varcare una linea rossa del terrore mai superata neppure da Bin Laden e Al Qaida potrebbe essere dunque Abu Bakr Al Bagdadi, il capo dell'organizzazione che dopo aver rimpiazzato Al Qaida ha anche proclamato la nascita di un Califfato transnazionale a cavallo di Irak e Siria. Quel Califfato minaccia ora di diventare la prima roccaforte del terrorismo nucleare. A denunciarlo in una lettera dai toni allarmanti indirizzata al segretario generale dell'Onu Ban Kii Moon è l'ambasciatore iracheno presso il Palazzo di Vetro Mohammed Alì Al Hakim. «Nonostante la limitata quantità - scrive nella lettera l'ambasciatore - quel materiale nucleare può venir usato, da solo o in combinazione con altre componenti, per mettere a segno attacchi terroristici da parte di gruppi in possesso della necessaria conoscenze tecniche. L'Irak oltre a mettere al corrente la comunità internazionale chiede aiuti e appoggi per evitare che i terroristi mettano a segno queste minacce in Irak o altrove. «Per ora l'Aiea, l'agenzia dell'Onu incaricata di vigilare sulla minaccia nucleare, sembra decisa a minimizzare la minaccia. Pur sottolineando la «preoccupazione per ogni materiale radioattivo o nucleare fuori controllo» la portavoce dell'Aiea Gill Tudor sostiene che la razzia nucleare messa a segno a Mosul «non dovrebbe presentare un significativo rischio per la sicurezza».
Ma le tranquillizzanti rassicurazioni dell'Aiea sono anche legate alla necessità di non allarmare l'opinione pubblica e di non mettere sul chi vive i terroristi nel caso le task force, incaricate d'intervenire in casi come di questo genere, stiano progettando un'operazione per il recupero del materiale. A rendere il tutto ancor più inquietante s'aggiunge l'incursione messa a segno, sempre dai militanti dell'Isis, nel deposito di Al Muthanna, uno stabilimento cinquanta chilometri a sud di Bagdad, dove erano conservati ingenti quantitativi di residuati chimici dell'era di Saddam. Nei bunker del deposito, attaccato e razziato dall'Isis il 12 giugno scorso, erano ammassati i componenti chimici degradati e resi inerti di 2500 razzi disinnescati dagli ispettori dell'Onu dopo la guerra del Golfo del 1991.
Nel bunker 13 del deposito, stando a una lettera inviata dalle autorità irakene alle Nazioni Unite, erano conservate almeno 180 tonnellate di cianuro di sodio, «un componente chimico molto tossico» usato - spiega il rapporto delle autorità di Bagdad all'Onu - come precursore del «tabun», l'agente nervino usato su larga dalle forze di Saddam Hussein nel corso della guerra combattuta negli anni 80 contro l'Iran.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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