Di certo, nel centro storico di La Paz fatto di edifici tendenzialmente bassi e colorati, non passa inosservato. I vincoli urbanistici, in effetti, non ne avrebbero permesso la costruzione, ma il presidente boliviano Evo Morales è riuscito ad aggirarli grazie alla sua maggioranza parlamentare. Così ha potuto costruirsi una nuova adeguata residenza: 29 piani per 120 metri d'altezza, tutta di vetro, con superficie di atterraggio per elicotteri sul tetto e pareti qua e là decorate dai simboli della tradizione indigena e da murales che raffigurano operai al lavoro. Ma nemmeno questo tributo - unito al nome dell'edificio: la Grande casa del popolo - è riuscito nell'impresa di far digerire il nuovo palazzo presidenziale ai boliviani. Che giovedì scorso, nel giorno dell'inaugurazione, si sono riversati nelle strade della capitale per dire «no» a quella che ritengono un'opera dispendiosa e inutile.
Il nuovo grattacielo sovrasta il Palacio Quemado, o Palazzo Bruciato, la vecchia sede del governo già devastata nel corso della sua storia da due incendi, che ora sarà trasformata in museo. «In ogni mattone di quel palazzo c'è sangue», ha detto Morales durante la cerimonia del taglio del nastro, riferendosi al fatto che lì dentro sono stati assassinati tre presidenti boliviani tra Ottocento e Novecento. Ma la giustificazione data alla nuova residenza è un'altra: «Nel Palazzo Bruciato tutto era europeo - ha spiegato il presidente -, dobbiamo lasciarci alle spalle il simbolo di uno Stato coloniale per venire qui nella Grande casa del popolo dello Stato plurinazionale della Bolivia. Questa è un'altra pietra miliare della lotta del popolo boliviano».
Ma a quello stesso popolo la storia non è andata giù. Soprattutto dopo che i media locali hanno diffuso il costo dell'opera, 34 milioni di dollari, e i dettagli dell'appartamento riservato al leader indio. La suite presidenziale, al 24esimo piano dell'edificio, è grande 1068 metri quadrati ed è dotata di jacuzzi, sauna, palestra e sala massaggi. Indiscrezioni che non sono state né confermate né smentite dal ministro delle Comunicazioni, Gisela Lòpez, che invece ha ribadito il fatto che il grattacielo è stato costruito «per il popolo»: «Qui il presidente annuncia decreti e leggi per lo Stato - ha detto la ministra -, per cui questa nuova sede era una necessità dell'esecutivo e del popolo, perché il nostro governo governa con la gente».
Difficile pensare che l'inaugurazione dell'edificio faraonico, arrivata dopo tre anni di lavori, non avrebbe sollevato proteste in un Paese dove il 40 per cento della popolazione vive in povertà, cifra che lo rende uno degli Stati più poveri del Sud America nonostante la crescita dell'ultimo decennio. «Uno schiaffo alla Bolivia», l'avrebbero definito i manifestanti. Il leader dell'opposizione, Samuel Doria, ha commentato che la residenza dovrebbe essere convertita in un ospedale oncologico, di cui c'è urgente necessità. Morales si è smarcato dalle accuse spiegando che in questo modo si risparmieranno i milioni attualmente spesi per affittare le sedi dei ministeri. Ma le sue spiegazioni non convincono, e la vicenda potrebbe giocargli a sfavore: l'anno prossimo in Bolivia si terranno le elezioni e Morales, già al potere da 12 anni, vuole ricandidarsi per un quarto mandato. A dicembre una sentenza della Corte suprema ha annullato per qualunque ruolo pubblico i limiti previsti dalla Costituzione sul numero massimo di mandati che la stessa persona può ricoprire, spianando la strada alla rielezione di Morales.
Ma la Grande casa del popolo, che avrebbe dovuto consacrarlo, rischia ora di catalizzare la rabbia e la frustrazione di quella fetta di Paese convinta che sia venuto il momento, per il primo presidente indigeno della Bolivia, di farsi da parte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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