"Il mio nome non ve lo dico, so che userete queste informazioni". Lo sguardo del poliziotto greco è deciso, forse duro, ma desideroso di parlare. Capisce l'italiano, eppure usa l'inglese come a mantenere un po' di distanza. "La Turchia dovrebbe occuparsi dei clandestini, gli abbiamo versato sei miliardi di euro per chiudere le frontiere. E invece i migranti continuano a sbarcare tutte le notti".
Samos, stazione di polizia nell'isola greca nell'Egeo. Il regno di Erdogan è molto vicino, troppo in un periodo in cui il flusso migratorio torna a crescere fino a raggiungere livelli preoccupanti. Secondo i dati ufficiali quest'anno sono arrivati 38.598 migranti rispetto ai 29.718 del 2017 e ai 32.494 del 2018. Non siamo ai livelli del 2015, quando le isole Egee accolsero 800mila immigrati. Ma Ankara è tornata ad essere un colabrodo, nonostante il patto miliardario stilato con l'Unione Europea.
Da qualche settimana Erdogan utilizza il ricatto migratorio alla ricerca di un nuovo accordo (economico) sulla gestione dei flussi all'inizio della rotta balcanica. Il sultano e Angela Merkel si sono sentiti al telefono, ma non si è ancora arrivati alla stretta di mano definitiva. Atene accusa Erdogan di voler "ottenere più soldi". Ankara sostiene che Bruxelles non abbia rispettato i patti. La ragione è come sempre nel mezzo. "La Turchia ha preso i soldi dall'Ue e li spende per comprare armi - dice il poliziotto greco - sono tutti fondi neri che regaliamo a Erdogan. Ne ha incassati 6 miliardi e ora tornerà a chiederne altrettanti". Intanto a farne le spese sono la Bulgaria e la Grecia. Il vice ministro greco della Protezione civile, Giorgos Koumoutsakos, ha fatto notare che "migliaia di migranti ammassati a Smirne sono pronti alla traversata". Una bomba pronta a esplodere (guarda qui il video).
"Ogni notte arrivano 150 o 200 persone", lamenta Themos, che con il suo negozio di souvenir a Samos non fa più grossi affari. "In Turchia ce ne sono almeno 10mila in attesa di trovare un modo per approdare", gli fa eco Aziz dalla sua tenda nel campo profughi. Sulle isole greche la situazione è al collasso e il business dei trafficanti è tornato a fiorire da quando Ankara ha chiuso un occhio. "Se andate lì - racconta Hassan - ne troverete tantissimi disposti a portare i migranti ovunque". La base di partenza è Smirne, sulla costa turca dell'Egeo. Trafficanti e disperati entrano in contatto via social network. Asif ci mostra uno dei tanti gruppi Facebook attivi: "Ce ne sono molti - spiega - ma questo è il migliore". Centinaia di immigrati, da Siria, Afghanistan e Paesi africani pubblicano annunci dicendosi disposti a "pagare molti soldi" pur di raggiungere Samos, Lesbo, Kos, Chios o Leros. E soprattutto per abbandonare l'inferno turco.
Ivan indica le cicatrici su braccio, testa e collo frutto dei pestaggi degli agenti di Erdogan. Faris brandisce una mazza: "La polizia ci ha picchiati con un bastone come questo". Anche i minorenni sono finiti nelle grinfie dei poliziotti di Ankara, sopportati (e supportati) dall'Ue che tanto parla di accoglienza. "Mi servirebbero cento ore per raccontare cosa è successo lì", sussurra Asif. Nel volto un misto di rabbia e dolore: "In Siria c'è la guerra, ma è meglio che in Turchia". Chi riesce a raggiungere Samos o le altre isole finisce in quei buchi neri chiamati hotspot. I campi profughi nell'Egeo potrebbero contenere solo 6.300 persone: ad aprile ce n'erano 14mila, ora siamo già a 30mila.
Gli immigrati attendono anche due anni (sei mesi le famiglie con bambini) nelle isole prima di essere trasferiti ad Atene. Nel frattempo si accampano nella "giungla", gettati in tende, baracche, container. "Mio padre è malato", piange Waleed. Apre la porta della sua baracca: un uomo anziano è steso inerme su alcuni cartoni. Muove solo una mano. "Dal campo - sussurra il figlio - non ci forniscono aiuti". A Samos l'hotspot era stato pensato per 648 persone, ma nell'accampamento che lo circonda vivono oltre 5mila migranti. I bambini giocano tra i ratti, le donne incinte dormono in tende surriscaldate dal sole, i serpenti insidiano i ragazzi. "Questa è la nostra casa", dice un siriano mostrandoci la baracca di legno e teli impermeabili. Sono appena sei miseri metri quadri. Dentro ci vivono in venti, tra cui diversi bambini.
L'ondata migratoria genera crisi umanitaria, certo. Ma scontenta anche gli abitanti delle isole. Negozianti e cittadini sono allo stremo. Nel 2015 aiutarono i profughi in fuga dalla Siria, oggi sono stufi.
"La Ue deve fare qualcosa per tutto questo. Ha un accordo con la Turchia per non far venire più migranti, eppure continuano ad arrivare". Senza un nuovo patto, la Grecia rischia il collasso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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