Proseguono le indagini sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano barbaramente massacrato in Egitto e il cui corpo è stato fatto ritrovare in un fosso alla periferia del Cairo.
Un’inchiesta torbida, dalle mille contraddizioni, dove vengono tirati in ballo apparati di sicurezza statali, potenziali squadroni della morte, dichiarazioni seguite da smentite. “È stato un incidente stradale”, “Si è trattato di un episodio legato alla criminalità”, versioni decisamente poco credibili. Le autorità egiziane affermano che Giulio non risulta essere stato arrestato dalla polizia e non è stato segnalato in nessuna prigione, anche se i macabri segni lasciati sul corpo del ragazzo fanno pensare a un interrogatorio-tortura messo in atto dagli apparati statali:
Secondo gli inquirenti egiziani, il ricercatore sarebbe stato ucciso in un appartamento al centro del Cairo ed emerge persino la notizia che pochi giorni prima dei misteriosi individui si sarebbero recati nel palazzo dove abitava Giulio, nel quartiere di Dokku, per uno strano sopralluogo. Non è ancora chiaro chi fossero.
D’interesse per gli inquirenti sono poi alcuni incontri a cui Regeni ha partecipato negli ultimi mesi compreso uno del dicembre scorso con rappresentati del sindacato indipendente e tenutosi al Centro servizi per i lavoratori e sindacati al Cairo. Gli investigatori non escludono che all' incontro, possano aver preso parte anche 'infiltrati' che potrebbero aver notato la presenza di un italiano.
Il Times nel frattempo attacca l’Egitto, accusandolo di essere un regime repressivo dove migliaia di civili sono detenuti senza accuse e che il semplice sospetto di dissenso e la repressione di una minoranza estremista sono usati per giustificare una dittatura militare vecchio stile.
Sul fronte accademico, 4.600 studiosi da tutto il mondo hanno aderito alla lettera promossa in Gran Bretagna per chiedere verità e giustizia sul caso di Giulio Regeni.
In Italia non poteva mancare la mobilitazione di alcuni gruppi islamisti che hanno annunciato una manifestazione per sabato, con volantino firmato dall’International “Coalition for Egyptians Abroad” e dal “Comitato Libertà e Democrazia per l’Egitto”, realtà quest’ultima, vicina ai Fratelli Musulmani egiziani e con dirigenti immortalati tempo addietro nella sede dell’Alleanza Islamica d’Italia assieme a Salah Sultan, membro dei Fratelli Musulmani egiziani, segnalato in più occasioni per le sue visioni radicali e per le sue dichiarazioni anti-cristiane e anti-ebraiche; Sultan è legato all’ex governo islamista di Mohamed Morsi e nell’estate 2013 venne ripreso sul palco di Raba’a al-Adawiyya mentre protestava contro la deposizione del suo presidente.
Un’occasione da non perdere per attaccare il governo di Abdelfattah al-Sisi? L’ultima frase del volantino della manifestazione è eloquente: “fermiamo il regime”. In un volantino del “Comitato Libertà e Democrazia in Egitto” con oggetto “In morte di Giulio Regeni”e dopo una prima parte dedicata al ricercatore, si legge: “Il regime di al-Sisi non ha risparmiato nessuno e oggi l’Egitto è una fabbrica di malcontento e insicurezza, l’esplosione dell’aereo russo e la strage dei turisti messicani ne sono la riprova”. E ancora: “Auspichiamo un deciso impegno da parte delle nostre istituzioni nell’indagare e fare giustizia e non permettere al regime di chiudere la faccenda con un nulla di fatto, nel tentativo maldestro di salvaguardare la propria immagine ed i rapporti con l’Italia”.
Insomma, il “Comitato” sembra non avere dubbi sulla responsabilità di al-Sisi, nonostante le indagini siano ancora ben lontane da una soluzione. E’ possibile che nel messaggio si cerchi di colpire il turismo e l’economia dell’Egitto e i rapporti tra Roma e Cairo? E’ una domanda più che legittima.
Il volantino cita inoltre due anni e mezzo di violenze e di repressione da parte del regime militare facendo riferimento a un rapporto di Amnesty International che denuncia 400 desaparecidos. Chissà se i sostenitori di Morsi che oggi si mobilitano per questa vicenda ricordano quando Amnesty International denunciava le torture messe in atto dal governo dei Fratelli Musulmani: “Amnesty International ha denunciato, sulla base di prove e di testimonianze dei sopravvissuti, che i sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi hanno torturato persone del campo politico opposto. Manifestanti anti-Morsi hanno riferito di essere stati catturati, picchiati, sottoposti a scariche elettriche e accoltellati da persone fedeli all'ex presidente. Da quando, il 28 giugno, sono iniziate le manifestazioni di massa pro e anti-Morsi, l'obitorio del Cairo ha ricevuto almeno otto corpi con segni di tortura. Almeno cinque dei corpi erano stati trovati nei pressi dei sit-in dei sostenitori di Morsi”. (CS-96, 03/08/2013)
Il Nadim Center for the Rehabilitation of Torture Victims denunciò invece 247 casi di detenzione e tortura nei soli primi 100 giorni di governo Morsi. Nel 2013 un rapporto della Arabic Network for Human Rights Information mise in evidenza il triste record dell’ “epoca Mursi” per quanto riguarda le denunce nei confronti di giornalisti e personaggi legati ai media. Infatti, secondo l’ ANHRI il numero di denunce sarebbe di quattro volte maggiore rispetto all’era Mubarak e ventiquattro volte più grande rispetto a quella di Sadat.
Fu poi proprio sotto il governo Morsi che ci fu il primo caso nella storia d’Egitto di pogrom contro un gruppo di sciiti, riunitisi in una casa privata per una festa religiosa.
Insomma, vedere oggi gruppi pro-Morsi scendere in piazza per chiedere “verità” e “giustizia” contro violenze e torture desta perplessità.
All’epoca scesero in piazza per denunciare quelle messe in atto dal governo dei Fratelli Musulmani? Recentemente sono scesi in piazza per protestare contro le persecuzioni del fratello musulmano Erdogan nei confronti degli accademici?Il reale problema dell’Egitto è la dicotomia tra regime militare e governo islamista: finchè non si esce da questo scenario, nel paese non ci sarà pace.
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