Quei profughi cubani che minano gli equilibri del Centroamerica

Mentre Obama e Castro si stringono la mano, sono migliaia i cubani in fuga dall'isola

La bandiera americana torna a sventolare all'ambasciata a Cuba
La bandiera americana torna a sventolare all'ambasciata a Cuba

Oltre 6mila cubani si trovano, alcuni già da settimane, in Costa Rica, in fuga dalla loro isola che, nonostante le tante promesse, non sta cambiando come avevano sperato. Un’emergenza umanitaria che il piccolo paese centroamericano si è visto cadere tra capo e collo, dopo che il governo del Nicaragua ha deciso di non accettarne più. Una ‘posizione’ simile a quella assunta da Panama mentre anche il Guatemala ha lo stesso ‘problema’.

Da tempo, infatti, l’America centrale è stata ‘invasa’ da migliaia di cubani, apparentemente turisti ‘zaino in spalla’, in realtà emigranti alla ricerca, disperata, di raggiungere con ogni mezzo (auto, a piedi in mezzo alla selva, in barca, via aereo i più ‘a mezzi’) ‘l’American dream’ che, nonostante tutto, continua ad essere un sogno per chi è costretto a vivere all’Avana, con un’ottima laurea in medicina ma un salario di neanche 20 euro al mese.

Insomma, è emergenza profughi cubani in America Centrale da almeno tre mesi ma solo l’appello di Papa Francesco, lanciato domenica 27 dicembre affinché i paesi della regione facciano qualcosa per aiutarli, ha messo il mondo di fronte a questa realtà.

Paradossale, perché il 2015 doveva essere l’anno della speranza per gli oltre 11 milioni di cubani di Cuba. Dopo lo storico discorso di Barack Obama e Raúl Castro del 17 dicembre 2014 che annunciò la fine della ‘guerra fredda’ tra le due patrie opposte – quella del capitalismo e del comunismo, divise appena da una novantina di miglia marine – tutti pensavano che la dittatura castrista allentasse la censura ed aprisse il ‘modello’ economico centralizzato, per dare più spazio all’iniziativa privata ed eliminare il doppio cambio.

Invece, al di là dei tantissimi incontri tra feluche di ogni ordine e grado, complice anche una legge statunitense, quella del Ajuste che aiuta il regime (offre a qualsiasi cubano che riesca a mettere piede sul suolo statunitense vantaggi che gli altri latinos se li scordano, con annesse rimesse per sostenere i famigliari rimasti sull’isola) non accadeva da 35 anni che tanti figli della revolución rischiassero la vita per sfuggire dal ‘paradiso in terra’ del comunismo in salsa caraibica.

Per la precisione era dal drammatico esodo di Mariel, del 1980, quando a scappare via mare furono 125mila (molti morirono esattamente come accade oggi nel Mediterraneo, stragi poco pubblicizzate dalla sinistra quelle dei balseros cubani) che in un anno non lasciavano l’Avana 45mila cubani come, statistiche alla mano, è invece successo in questo “storico” 2015.

Che tradotto in cifre significa che, quest’anno, circa un cubano ogni 200 ha deciso, a suo rischio e pericolo, la fuga verso gli Stati Uniti.

Per fortuna se n’è ricordato il Santo Padre perché, se avessimo dovuto attendere gli appelli delle varie Boldrini e/o compagni di casa nostra, non l’avremmo mai saputo.

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