Sta implodendo la Repubblica democratica del Congo. Da Kinshasa a Goma le città dell'ex Zaire si stanno infiammando e ieri la violenza si è appropriata delle strade della capitale dove una manifestazione anti governativa è terminata con 17 morti, diversi feriti e le sedi dei partiti d'opposizione date alle fiamme.
Quando sta avvenendo nel paese dei Grandi Laghi è la cronaca di una tragedia annunciata. Il presidente Kabila, che è al termine del suo secondo mandato presidenziale, sta posticipando la data delle elezioni e, alla sua volontà di sabotare il democratico processo elettorale, si sta opponendo la società civile che rivendica libere elezioni e le dimissioni di Kabila.
L'attuale presidente infatti è arrivato al termine del suo secondo mandato e la Costituzione vieta una terza ricandidatura. Un regolare svolgimento del processo elettorale prevederebbe quindi un'uscita di scena dell'attuale capo del governo e una votazione plebiscitaria, ma così non è.
All'inizio le elezioni dovevano essere a fine novembre, poi la Commissione elettorale le ha posticipate a fine 2018 e Laurent Kabila ha dichiarato che non sarebbero limpide se prima non si effettua un'ampia riforma costituzionale e quindi, appigliandosi a questa carta, sta giocando la sua mano di poker per bluffare il Paese e rimanere ancorato al potere.
La società civile ovviamente ha risposto in modo corale e infiammato scendendo in piazza e dichiarando che non si fermerà davanti alla repressione ma che proseguirà a inondare le strade della Repubblica congolese fino a quando non saranno indette libere elezioni.
Ma quanto può fare nel contesto dei grandi laghi il volere popolare? Questa è una domanda che sino ad oggi si è infranta contro muri di fatalismo e rassegnazione. Ciò che sta avvenendo a Kinshasa già è avvenuto infatti a Kampala, a Bujumbura e uguale scenario si presenterà anche a Kigali. Tutta l'area dei Grandi Laghi è in mano a presidenti autoritari che stanno violando le costituzioni e con ogni mezzo possibile cercano di mantenere saldo il proprio potere. Una situazione regionale che vede leader di governo che, sebbene siano storici avversari per posizioni politiche e vissuto personale, in ogni caso stanno facendo forza comune per mantenere integri i propri fortilizi. E a supportare questi reami dell'Africa sub sahariana ci sono anche gli altri stati del continente dove singole famiglie detengono le redini del potere da decenni.
Le repressioni ci sono state in Burundi, in Uganada e ora in Congo, ma la determinazione messa in campo dall'opposizione e dalla gioventù congolese sembra essere superiore a lacrimogeni, pallottole e arresti e per il 25 settembre è stata annunciata infatti un'altra manifestazione e di nuovo un fiume di manifestanti incendierà le vie di Kinshasa. Che possa essere questo l'inizio di una primavera africana?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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