Nel sesto giorno della sua presidenza, è già scoppiata la prima bufera su Jean-Claude Juncker. Il neo-presidente della Commissione Europa è finito nel mirino di mass media e politici a causa delle agevolazioni fiscali di cui godono, in Lussemburgo, centinaia di società estere. La rivelazione è stata pubblicata oggi da un pool di testate internazionali dopo sei mesi di indagini su decine di migliaia di documenti riservati e riguarda un accordo "segreto" fra almeno 300 società (da Ikea ad Amazon, da Deutsche Bank a Procter & Gamble, da Pepsi a Gazprome) e il governo del Granducato, che concedeva loro un trattamento fiscale di favore permettendo di non pagare le tasse nei paesi di origine.
Juncker è stato primo ministro del piccolo paese per 19 anni, e oggi è stato messo sotto accusa da diversi esponenti politici di vari paesi, che in qualche caso ne hanno chiesto le dimissioni, mentre il suo portavoce alla Commissione, Margaritis Schinas, ha sottolineato che come presidente agevolerà il lavoro della commissaria Margrethe Vestager, responsabile della concorrenza e quindi di questo dossier che prevede un’indagine per presunti aiuti di stato.
Il ministro delle Finanze lussemburghese, Pierre Gramegna, ha ricordato a Bruxelles, dove è in corso una riunione dell’Eurogruppo, che le regole esistenti in Lussemburgo rendono le attività rivelate oggi "perfettamente 538em;">legali" ma ha ammesso che tali pratiche non sono più considerate "eticamente compatibili". La "credibilità di Juncker è in gioco", ha tuonato il capogruppo S&D, Gianni Pittella. Marine Le Pen ne ha chiesto le dimissioni, il M5S ha parlato di "scandalo".
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