“Si tratta di una dichiarazione di grande importanza. Un segnale che va colto senza esitazioni”. Non ha dubbi Riccardo Migliori, presidente emerito dell’Assemblea Parlamentare dell’Osce. L’Ambasciatore Altay Cengizer, direttore generale per la pianificazione politica del Ministero Affari Esteri turco – intervenuto al XII workshop de “Il Nodo di Gordio” tenutosi lo scorso fine settimana all’hotel Posta di Montagnaga di Pine” (Trento) sul tema “Mari che uniscono” – ha appena affermato che Ankara è pronta a riaprire il dialogo diplomatico con l’Armenia, nell’interesse comune dei due popoli. “Non sarà facile, certo – ha detto Cengizer – ma è importante che si lavori in questa direzione. Pensiamo che in una prospettiva di lungo periodo ci potrà e ci dovrà essere una riconciliazione perché la situazione attuale non è di alcun beneficio né per gli armeni, né per noi turchi”. Un dialogo interrotto da tempo, da quando la crisi del Nagorno-Karabakh e il conflitto fra Armenia ed Azerbaigian ha portato all’interruzione delle relazioni fra Ankara ed Erevan. “Relazioni che pure si erano instaurate all’implosione dell’URSS e con la nascita della Repubblica di Armenia – chiosa Carlo Marsili, già Ambasciatore italiano in Turchia, che ha moderato il panel del workshop dove le parole di Cengizer sono cadute pesanti come pietre –. Poi, certo, vi è stata la crisi del Nagorno-Karabakh, e tutto lo scenario si è congelato. Eppure canali di comunicazione fra Ankara ed Erevan sono sempre rimasti aperti. Non a caso esistono voli di linea diretti fra Istanbul e la capitale armena, ed anzi, pochi anni fa, abbiamo assistito alla cosiddetta “diplomazia del pallone” con l’allora presidente turco Gul che andò in Armenia per assistere ad una partita di calcio, e il suo collega armeno che ricambiò, in analoga occasione, la visita. Quella volta erano già stati siglati degli accordi per normalizzare le relazioni. Accordi che, però, il Parlamento di Erevan si è rifiutato di ratificare. Il nodo, naturalmente, è rappresentato dalla questione del riconoscimento del cosiddetto “genocidio armeno” una questione estremamente controversa dal punto di vista degli storici, ma che alcuni ambienti estremamente influenti in Armenia, soprattutto ambienti della diaspora, considerano una conditio sine qua non per riaprire il dialogo con la Turchia. Assurdo voler imporre una verità di Stato su una questione storicamente controversa, tanto che, ad esempio, l’Italia, come Washington, non ha mai riconosciuto ufficialmente il genocidio. Ancora più assurdo, però, paralizzare per questo la dinamica diplomatica ed economica di una regione cruciale del mondo”.
Un riconoscimento, quello del cosiddetto “genocidio”, che la Turchia, oggi come oggi, non è disposta a concedere. Per lo meno non senza che vi sia, prima, un profondo esame storico della questione.
“Già nel 2006 abbiamo proposto la costituzione di una Commissione internazionale di storici, sotto l’egida dell’ONU che esamini la questione, avendo libero accesso a tutti gli archivi e documenti – ci ha detto l’Ambasciatore turco in Italia Aydin Adnan Sezgin che ha voluto sgombrare il campo da ogni possibile fraintendimento –. Noi non abbiamo mai accettato le accuse di genocidio. Un genocidio presuppone l’intenzione di commetterlo e di certo non è questo il caso della Turchia. Quello che è successo nel 1915 e negli anni successivi è semplicemente un episodio nel contesto di quella tragedia che fu la prima guerra mondiale. Noi cerchiamo però sempre di proporre il dialogo”.
Un dialogo dal quale dipendono, come accennavamo, gli equilibri del Caucaso e, per traslato, anche della limitrofa regione medio-orientale. “La riapertura delle relazioni con la Turchia sarebbe fondamentale per Erevan – aggiunge Carlo Marsili – infatti l’Armenia versa oggi in uno stato di profonda crisi economica e sociale, con forti rischi di conflitti interni. Normalizzare i rapporti con il suo grande vicino aprirebbe enormi possibilità di sviluppo e commercio”.
“E poi da questo dipende la sicurezza di tutte le pipeline che passano, e ancor più passeranno in futuro dal Caspio al Mediterraneo – riprende Riccardo Migliori –. Con la normalizzazione in corso dei rapporti fra Iran ed Occidente, la questione del Nagorno-Karabakh e, soprattutto, la perdurante tensione fra Erevan ed Ankara resta la principale minaccia per gli equilibri geopolitici regionali. Tant’è vero che stiamo assistendo ad un grande attivismo diplomatico del Vaticano. Lo stesso Papa Francesco si sta, silenziosamente, spendendo molto per cercare di riavvicinare armeni e turchi. Per questo la dichiarazione di Altay Cengizer è così importante. Non si è trattato di una boutade casuale. Al contrario, il diplomatico turco ha scientemente scelto il palcoscenico, riservato e tranquillo, di questo nostro workshop, per lanciare un ben preciso segnale. Un segnale che non deve andare perso nel vuoto”.
Andrea Marcigliano
Senior fellow del think tank “Il Nodo di Gordio”
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