“Che diversi jihadisti vivessero già da tempo in Europa lo si sapeva già da ben prima delle stragi di quest’anno. Quello che i servizi segreti dei Paesi occidentali si sono mostrati incapaci di fare, però, è di prevedere le loro mosse e la loro pianificazione delle azioni violente. Ed è questo che tento di fare io”. A raccontarlo è Dipak Gupta, professore presso il dipartimento di scienze politiche dell’università di San Diego, in occasione di una conferenza presso il Franklin University Switzerland, università americana con sede a Lugano che lo ha invitato come relatore. Nato in India, è stato il presidente dell’ISCOR (Intenational Security and Conflict Resolution) e ha incentrato i suoi studi e il suo lavoro sull’analisi dei conflitti etnici e religiosi. Focalizzandosi negli ultimi anni sulle modalità in cui l’Isis utilizza internet i social network per fare proseliti tra le nuove generazioni di arabi cresciuti in Europa. Riconosciuto come una delle massime autorità in materia, in questi mesi sta girando il mondo per spiegare in cosa consista il suo lavoro e soprattutto per fornire delle valide chiavi di lettura a proposito della guerra che lo Stato islamico ha dichiarato all’Occidente.
Professor Gupta, le stragi di Parigi avvenute nel 2015 mostrano come l’Isis possa vantare di cellule altamente organizzate in territorio europeo. Come avviene la loro creazione?
Essa è il risultato principalmente di due fenomeni: prima di tutto delle difficoltà che l’Occidente incontra nell’integrare alcuni gruppi di persone, cosa che crea l’humus ideale per le organizzazioni che vogliono fare crescere delle nuove leve di terroristi. Non dimentichiamo che gli attentatori delle ultime stragi erano tutti giovanissimi. In secondo luogo dobbiamo riconoscere una grandissima capacità da parte dell’Isis di pianificare meticolosamente ogni cosa, che sia questa un attentato o l’indottrinamento del futuro attentatore. Il che mostra un fatto inequivocabile: l’Isis conosce il territorio, è presente all’interno delle comunità musulmane europee e sa che tasti toccare nelle nuove generazioni che sono alla ricerca di identità che non trovano nel Paese in cui vivono.
L’Isis offre dunque ai giovani musulmani un’identità alla quale attaccarsi?
Certamente. Ogni uomo attraversa nella propria vita una fase in cui è alla ricerca della propria identità. E in questa fase, da sempre, le persone cercano inconsciamente un gruppo di cui sentirsi parte. Il processo che porta un giovane arabo delle banlieu parigine ad aderire all’Isis non è diverso da quello del suo coetaneo europeo che aderisce e movimenti politici nazionalisti, a gruppi di hooligans o a compagnie di amici che passano il proprio tempo in discoteca. E’ un desiderio interiore che c’è e sempre ci sarà per tutti. Nei gruppi etnici in cui l’identità è più marcata e che vivono al di fuori dei confini del proprio mondo, però, è probabile che ciò avvenga in maniera maggiore. Tra i giovani arabi europei il potenziale interesse per i gruppi terroristici di matrice islamica risulta essere potentissimo. Non dobbiamo sottovalutare che questi ultimi offrono ai ragazzi qualcosa che l’Occidente non offre più: l’avventura. Qualcosa che molti adolescenti, soprattutto se maschi, cercano insistentemente. E l’Isis si sta mostrando estremamente abile nel porsi come risposta a questa ricerca di trasgressione.
Come si fa ad arruolarsi nell’Isis? Come avviene, nei fatti, il reclutamento?
Esso avviene generalmente tramite contatti e legami di amicizia e famigliari. In occasione degli attentati vediamo sempre più spesso come gli autori siano imparentati tra di loro. I legami di sangue sono quelli più forti che esistano e per questo il reclutamento avviene rapidamente e in maniera spontanea all’interno di nuclei famigliari in cui vi sia inizialmente anche solo una persona che simpatizza per i terroristi. E’ più difficile tradire qualcuno se questo è tuo padre o tuo fratello. Le compagini terroristiche in cui le famiglie sono più coese e quindi meno volte al tradimento sono le più pericolose. Esattamente come avviene nelle organizzazioni mafiose.
Non esiste dunque una propaganda apertamente pro Isis che venga fatta per le strade?
Può esistere, ma è esposta a più rischi. All’esterno delle mura famigliari essa avviene più che altro tra amici. Giovani musulmani che odiano il Paese in cui vivono e cercano un’alternativa ad esso sognando la terra d’origine in cui generalmente non sono neanche mai stati. E per questo sviluppano in desiderio di andare in Siria o Iraq, per conoscere lo Stato islamico e combattere per esso.
Lei sta parlando di potenziali terroristi che però sono ancora ben lontani dall’esserlo. Come avviene poi il salto di qualità?
Esso avviene tramite internet. Un settore in cui l’Isis si sta mostrando essere abilissima, molto di più di ogni altro gruppo terroristico islamista. Il web è pieno di blog, pagine internet e account di facebook che inneggiano allo Stato islamico. Attraverso alcuni di essi è possibile mettersi in contatto direttamente con i capi jihadisti che vivono in Iraq e Siria. Per un giovane ispirante jihadista che vive in Europa non è difficile mettersi in comunicazione con loro e la loro propaganda, che lo incentiva a andare nei territori controllati dallo Stato islamico per conoscere di persona i propri interlocutori. Una volta tornato in Europa, poi, comunicherà con loro costantemente e potrà organizzare una cellula terroristica su loro indicazione, facendo leva sulle sue conoscenze tra i tanti coetanei arabi delusi dal mondo occidentale. Gli attentatori di Parigi hanno mostrato di avere una profonda conoscenza del territorio, dove hanno vissuto per anni, ma anche una cieca convinzione ideologica e una preparazione militare e logistica che non possono avere appreso in Francia.
Com’è possibile che le forze di intelligence francesi non si siano accorte di tutti questi contatti virtuali?
Il web è un terreno ancora altamente inesplorato, che chi conosce sa come poter nascondere ciò che vuole. Gli investigatori occidentali non si sono accorti dell’esistenza di una rete virtuale di persone che si coordinavano tra la Francia e la Siria tramite semplici programmi che quasi ognuno di noi ha usato almeno una volta: whatsapp, dropbox o semplici applicazioni sugli smartphone, che per esempio non sono intercettabili. O anche tramite i videogiochi online. E’ così che si coordinano le cellule terroristiche europee con le teste che sono in Siria. Ed è così che vengono organizzati i viaggi degli aspiranti jihadisti che vanno nello Stato islamico a imparare a combattere.
Attraverso i suoi studi e tramite le sue conoscenze informatiche Lei cerca di intuire come e quando avverranno episodi terroristici o di violenza etnica o religiosa. Pensa che ciò sia possibile anche nel caso dell’Isis?
Con l’Isis è più difficile, nella maggior parte dei casi invece è assolutamente possibile. Io per esempio predissi con largo anticipo la rivoluzione ucraina dell’Euromaidan. Nessuna rivoluzione o movimento di massa nasce spontaneamente. Quando, come nel caso ucraino, ad essere mobilitate sono migliaia se non milioni di persone c’è sempre un’organizzazione dietro che ci lavora da tempo. Osservando il lavoro di propaganda di questo organizzatori occulti si riescono ad anticipare le tempistiche e ciò che avverrà. Con l’Isis, però, è molto più complicato, perché non si tratta di un movimento di popolo su larga scala, ma di tante piccole cellule composte da una decina di persone che agiscono in maniera semi-autonoma. Non esiste al suo interno una scala gerarchica estremamente stabile.
A differenza di Al Quaeda, per esempio, è un’organizzazione estremamente decentralizzata in cui ad essere i più temibili sono i giovani europei alla ricerca di un’identità. Cresciuti nel mondo occidentale, spesso neo-convertiti e per questo maggiormente esaltati e disposti a tutto pur di cercare l’avventura. E per questo più imprevedibili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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