Mentre si parla di un possibile intervento militare italiano contro l'Isis, in Iraq, torna alla memoria quella volta in cui un altro governo di sinistra mandò il nostro Paese in guerra. Accadde nel 1999, con la guerra in Kosovo (ma sarebbe più corretto dire la seconda fase della guerra), che vide contrapposta le forze della Nato alla Serbia di Milosevic.
Nella seconda metà degli anni Novanta i separatisti albanesi dell'Uck iniziarono ad alzare sempre di più la voce, affiancando alla lotta politica per l'indipendenza una vera e propria azione militare contro i simboli dell'entità statale serba. Belgrado rispose con una dura repressione, dapprima con le proprie forze di polizia, poi impiegando forze paramilitari. Lo scontro divenne una vera e propria guerra di matrice etnica, sempre più sanguinosa, con gravissime conseguenze per la popolazione civile. Scoppiate nel 1996, le ostilità divennero particolarmente cruente e sanguinose nel 1998. Su pressione della comunità internazionale, l'Alleanza atlantica ottenne l'inizio dei negoziati di Rambouillet, che si conclusero bene. Ma poco dopo, a Parigi, quando si sarebbero dovuti decidere i dettagli tecnici dell'accordo, i serbi abbandonarono i lavori sbattendo la porta, dicendo che mai avrebbero accettato l'indipendenza stabilita in modo unilaterale dai kosovari. E fu la guerra: Nato contro Serbia. Il motivo ufficviale fu la difesa dei diritti umani violati dai serbi a scapito dei civili del Kosovo di etnia albanese.
Dalla base aerea Nato di Aviano si alzarono in volo i caccia bombardieri. La guerra contro Belgrado fu (quasi) tutta aerea. Anche l'Italia prese parte al conflitto. Il governo presieduto da Massimo D'Alema autorizzò l'utilizzo dello spazio aereo. Dal nostro territorio, quindi, partirono i raid offensivi. Fu il secondo intervento bellico italiano dal Dopoguerra, il primo era stato nel 1991, con la Guerra del Golfo (la prima) e i Tornado dell'Aeronautica mandati a bombardare l'Iraq di Saddam Hussein, che da pochi mesi aveva invaso un paese libero, il Kuwait.
Come ammise in un'intervista a Repubblica il generale Mario Arpino, capo di stato maggiore della Difesa, anche l'Italia sganciò le sue bombe: "Di volta in volta sono i comandi Nato a decidere l'utilizzazione delle nostre forze. Ma non si tratta solo di 42 aerei. Il numero delle basi, il personale impegnato nei centri di controllo a terra, il numero degli aerei, quello delle unità della Marina, gli uomini dell'Esercito schierati in Macedonia fanno dell'Italia un paese essenziale: lo sforzo dell'Italia in quest'operazione è secondo solo a quello degli Stati Uniti. Lei chiede: i Tornado hanno bombardato? Io dico che oltre a tutto il resto, oltre a migliaia di uomini che lavorano in queste ore per l'Italia e la Nato, alcuni velivoli italiani hanno anche colpito radar e batterie di missili che ci minacciavano. Ma è questo il problema?".
Poi toccò alla Libia, nel 2011, nell'intervento militare della Nato contro Gheddafi. "Le operazioni condotte nel 2011 sui cieli libici hanno rappresentato per l’Aeronautica Militare italiana l’impegno più imponente dopo il secondo conflitto mondiale", affermò in un'intervista il capo di stato maggiore delle forze aeree, generale Giuseppe Bernardis. Questo il bilancio della missione: 1.
900 missioni con oltre 7.300 ore di volo, pari al 7% delle missioni complessivamente condotte dalla coalizione internazionale a guida Nato.Scatterà, a breve, una nuova azione di guerra da parte dei militari italiani? Tra poco lo scopriremo.
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