Moretti, il ras delle Ferrovie che ama Cgil e Cobas (forse più dei viaggiatori)

Cuore a sinistra e stipendio da nababbo, Mauro Moretti è il classico esempio del populista in carriera. Da otto mesi amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Moretti è un ex sindacalista Cgil. Oggi manager inflessibile, ieri a fare casino dall’altro lato della barricata. In 30 anni di piroette sui binari, Mauro ha fatto tutte le parti in commedia.
L’uomo è versipelle. Prudente coi potenti, è rude coi sottoposti. Eccellente intenditore di faccende ferroviarie, aveva criticato - a mezza bocca - l’inefficienza delle precedenti gestioni. Oggi che è lui alla testa della baracca, le cose non vanno meglio. Treni in ritardo, sporcizia e scioperi sono all’ordine del giorno come in passato. La sola novità col suo avvento è l’aumento dei costi del biglietto. Dopo il blocco imposto dal centrodestra, il governo Prodi ha già gonfiato tre volte i prezzi che sono lievitati del 30 per cento. Quando non era ancora capo delle ferrovie, Moretti diceva: miglioriamo prima il servizio, poi diamo il via agli aumenti. Oggi che comanda lui, paghi di più e ricevi meno.
Tra i grandi problemi delle Fs, 9.000 macchinisti di troppo. In Italia, ogni treno ha due piloti. Nei Paesi più moderni ce n’è uno solo. In Francia, è così dagli anni ’60. Ma i sindacati italiani rifiutano i prepensionamenti. Due macchinisti - dicono - sono una garanzia di sicurezza. Con le nuove tecnologie però questo non è più vero. In caso di malore del pilota, il treno può essere fermato dall’esterno. Il doppio macchinista è ormai un lusso e da anni, tra azienda e sindacato, c’è un braccio di ferro.
Sul miglioramento del servizio e il risanamento dei bilanci, è caduto il precedente amministratore del centrodestra, Enzo Catania. La patata adesso è in mano a Moretti che finora non ha fatto alcunché. Anzi. Sentite cos’è successo il 22 giugno, quando il sindacato ha indetto uno sciopero proprio sulla faccenda degli esuberi.
La galassia sindacale - Cgil, Cisl, Uil, Cobas e compagnia - aveva deciso il blocco totale del traffico. C’era però problema di portare i ferrovieri a Roma per una maestosa manifestazione davanti alla sede delle Fs. La Triplice, sfrontata, ha chiesto a Moretti la consegna di otto coppie di treni (andata e ritorno) per il trasporto dei manifestanti dai quattro punti cardinali. L’ineffabile Mauro, più da cigiellino onorario che da amministratore in carica, ha fatto il grandioso e li ha concessi. Si è avuto così il paradosso dell’Azienda che metteva a disposizione i treni per consentire agli scioperanti di manifestare contro l’Azienda medesima. Come se la Fiat prestasse migliaia di Punto ai dipendenti sparsi nella Penisola per farsi fischiare davanti ai cancelli di Mirafiori. Ma con una differenza di fondo tra i due casi. La Fiat, nell’ipotesi, avrebbe usato auto di sua proprietà. Moretti, invece, si è comportato da padrone con convogli di proprietà pubblica. Spetterà ora alla Corte dei Conti stabilire se i 16 viaggi in treno del 22 giugno sono stati pagati dai manifestanti o se invece a offrirgli la scampagnata è toccato all’Azienda, e dunque a noi. In conclusione, mentre per tutti gli italiani i treni erano fermi per lo sciopero dei ferrovieri, i ferrovieri in sciopero viaggiavano sui treni degli italiani.
Assodato che il nostro Moretti non ci tutela come utenti, vediamo il come e il perché ce lo troviamo al vertice delle ferrovie. Mauro è un ingegnere elettrotecnico che ha trascorso la vita tra le locomotive. Si è laureato nel ’77 e nel ’78 è entrato nel Fs per concorso. I passi di avvio sono stati lenti e stentati. Nei primi anni ’80 si è però improvvisamente iscritto alla Cgil e ha iniziato la carriera sindacale. La scelta del sindacato del Pci fu del tutto naturale. Riminese di nascita, Mauro è imbevuto di comunismo. Comunista è la famiglia di origine, comunista il suo ambiente nella rossa Emilia Romagna.
Nel sindacato, dov’è rimasto un decennio, il Nostro ha fatto passi da gigante fino a diventare segretario nazionale della Cgil Trasporti. Contemporaneamente, ha fatto strada nelle ferrovie. Per dirla tutta: le due carriere hanno preso il galoppo in parallelo. Più Moretti diventava importante come cigiellino più progrediva nei quadri ferroviari. Ciò gli ha procurato anche diverse antipatie tra i colleghi Cgil. Mentre i sindacalisti puri restavano al palo tra proteste e volantini, lui filava come una vaporiera verso i vertici aziendali, guadagnando dieci, venti, trenta volte più di loro. A un certo punto, la situazione si fece pesante e la Confederazione chiese all’allora amministratore delegato, Lorenzo Necci, di tenersi Moretti in esclusiva. Necci lo prese e lo valorizzò. Uscito dal sindacato, Mauro - che sa il fatto suo - divenne amministratore delegato della Rete Ferroviaria Italiana, la branca più danarosa delle Fs. Da Rfi passavano - e passano - tutti i contratti dell’Alta velocità, il maggiore investimento pubblico degli ultimi vent’anni. La Tav però è anche l’ennesima anomalia italiana. I binari, infatti, costano da noi da 10 a 16 volte più che in Spagna, Francia, ecc. Lo sproposito si spiega in parte con la posa delle rotaie che in un Paese montagnoso come il nostro è particolarmente onerosa. In parte, invece, non si spiega per niente. Ma così è. Moretti poi, di sua iniziativa, ha trasformato le Ferrovie nel quarto gestore telefonico più importante d’Italia. Le Fs hanno infatti una mastodontica rete di comunicazioni a uso interno. Un falansterio che, incomprensibile ai più, viene però giustificato con ragioni di sicurezza. Mauro, insomma, pensa in grande e ha fama di generoso spenditore di denaro ferroviario.
Necci, come si sa, cadde in disgrazia nel ’96. Subì anche il carcere per presunti reati, risultati poi inesistenti. Il suo protetto restò invece in sella fino a raggiungere la recente promozione alla testa della holding. Mauro è tuttora un estimatore di Lorenzo, ma con prudenza. Giorni fa si è affacciato alla pubblica presentazione della Fondazione Necci, voluta dalla figlia Alessandra, a un anno della morte del padre. Ha anche detto qualche parola di compianto, ma si è guardato bene dall’impegnare l’Azienda nelle onoranze allo sfortunato ex amministratore delegato. Le Ferrovie sono invece in debito con Necci che, pur innocente, non ha avuto né buonuscita, né regolare trattamento di quiescenza. La vedova prende infatti mille euro mensili di pensione di reversibilità. Per capire quanto è irrisoria rispetto al grado che fu del marito, basti pensare che Moretti ha uno stipendio di oltre 800mila euro l’anno. Ma Mauro, nonostante debba molto al suo ex capo, non muove un dito. Da mesi, fa orecchio da mercante alle richieste della famiglia Necci di portare la pensione vedovile a livelli decenti. Della serie, meglio perderlo che trovarlo.
Questo core ingrato di 53 anni è un tipo tonico e iperattivo. Oltre a guidare le Fs, è sindaco di Mompeo, paesotto del Reatino. È stato eletto con una lista civica, ovviamente di sinistra, poiché come dice sempre: «Il mio cuore è lì che batte». Per sopramercato è anche vicepresidente dell’Associazione romana degli industriali, presieduta da Luigi Abete, quello della Bnl.
Nel comando, Moretti è ruvido e sprezzante. Ascolta distratto e interrompe bruscamente i collaboratori: «Basta! So io come decidere». È facile all’ira, che si preannuncia con la comparsa negli occhi di venuzze rosse e palpitanti. Alcuni lo ammirano, i più lo temono, nessuno lo ama. Mauro se ne compiace con l’orgoglio antipatico dell’uomo che si è fatto da sé. Spesso è lui a provocare. Se nota un dirigente con un orologio di lusso o un bella macchina, sfotte: «Si vede che guadagni molto», oppure «Si vede che sei ricco di famiglia».
Non pensiate però che il criticone si tratti male. Ha una stanza di 250 mq, pari a due piscine olimpioniche, autoblù, un po’ po’ di stipendio. Si bea nel licenziare. Ha già liquidato - profumatamente e con soldi pubblici - una trentina di dirigenti ereditati dal centrodestra, in applicazione del più puro spoil system. Ha rinnovato tutto il Cda, tingendolo di rosso. Ha graziato solo Clemente Carta, dell’Udc, in vista di futuri accordi col partito di Casini. Impera come ras Menelik, non delega, decide tutto. Si fida solo di tre, piazzati da lui: Michele Elia, ad di Rfi; Nicola Mandarino, capo delle strategie; Rossi di Ferservizi.
Come ogni anno, Moretti ha organizzato in maggio nella natia Rimini la Convention di due giorni per 600 dirigenti ferroviari. Una costosa bisbocciata in cui si alternano frizzi e discorsi.

Il presidente Fs, Innocenzo Cipolletta, si è esibito nel «Ragazzo della via Gluck», Moretti ha interpretato Lucio Battisti, i 600 hanno intonato insieme, «Volare». Al commiato, Mauro ha avvertito amabile: «Chi non condivide la mia linea, passi allo “sportello Vergara”», l’ufficio licenziamenti Fs. Chiusa perfetta per un padrone delle ferriere tesserato Cgil.

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