Domanda: nella musica «forte» che cosa viene proposto oggi? Parlando della produzione d'arte occidentale, in buona parte si «vive» ancora sulle strade tracciate dai Maestri del Ventesimo secolo. Nuovi messia non se ne sarebbero sentiti - il condizionale è d'obbligo - e le calligrafie magari riviste e corrette più o meno sono quelle; da «pesare» invece le novità di un'elettronica sempre più dilagante e libera. Insomma, la torre di Babele resta, come prima. Allora, per provare a rendersi conto di un passato che comunque continua a farci da papà e a influenzare, nonostante le «fratture», si può salire sulla grande nave del Novecento per vedere e rivedere che cosa c'è.
Lo ha fatto con spirito da pioniere il musicologo e giornalista Federico Capitoni - autore di diversi saggi compreso In C-Opera aperta. Guida al capolavoro di Terry Riley - che ha mandato negli scaffali Canone Boreale - 100 opere del '900 musicale (colto sopra l'equatore) (Jaca Book, pagg. 384, euro 30), una guida per orientarsi fra la miriade di capolavori e opere che hanno delineato il paesaggio sonoro del secolo trascorso. Lo studioso è approdato ad alcune conclusioni: «In realtà la musica di quel periodo inizia un po' prima, si prenda il francese Erik Satie. E possiamo dire che quel che si produce nei nostri giorni è legato al passato; non mi pare che nei primi anni del Duemila ci siano state cose rivoluzionarie come La sagra della primavera di Stravinkij o il Pierrot Lunaire di Schönberg». A mano a mano che ci si allontana il quadro appare più chiaro. E il tomo Canone Boreale aiuta a comprendere: «Il motivo di questo titolo? La vicenda di cui mi sono occupato si è sostanzialmente espressa a Nord dell'equatore». Alla base della scelta dei brani, con relativi autori che si possono ripetere, c'è il «canone», un termine che nella musica classica sta a significare una composizione contrappuntistica che unisce a una melodia uno o più imitazioni che le si sovrappongono. Nel saggio «ogni brano in qualche modo è collegato, richiama e dialoga con un altro, creando un'idea di coerenza e continuità in un panorama dove alla fine si notano non poche somiglianze», così riferisce. Qualche esempio che si può leggere sfogliando le pagine dell'opera, che ha un taglio divulgativo e accessibile un po' a tutti, è presto fatto.
Il primo accostamento appare lampante: Risveglio di una città scritto dal compositore futurista Luigi Russolo nel 1914 per il cosiddetto intonarumori, strumento da lui stesso inventato, viene messo in relazione con City Life creato dal minimalista americano Steve Reich negli anni Novanta. Cose simili dove gli autori cercano di fare musica col rumoreggiare dei centri urbani. Altro caso: il teatro musicale novecentesco e il teatro dei pupazzi. Si prendano lo stravinskijano Petruska e Punch and Judy dell'inglese Harrison Birtwistle; poi le figure metaforiche come nel Wozzeck di Alban Berg oppure Il naso di Shostakovic per rappresentare il concetto di «uomini disumanizzati, dei pupazzi che vogliono fare la vita delle persone», aggiunge l'autore. Nell'avventura c'è pure la (ri)scoperta di alcuni strumenti, vedi il clavicembalo. Messa in cantina nell'Ottocento dopo l'arrivo del piano, questa tastiera torna con Manuel de Falla e con Elliot Carter: nel Canone Boreale si trovano racconti e approfondimenti sui loro pezzi. Un altro elemento di «comunione» preso in considerazione è come i compositori hanno trattato componenti eterogenei che nelle musiche possono convivere, dialogare o restare conflittuali e separati, a volte «relazioni forti anche se meno evidenti».
Non c'è dunque solo la passerella storica e titoli collegati, non sfugge infatti la presenza dei compositori in vita, come Georg Friedrich Hass, Tan Dun e Helmut Lachenmann. Una sfida poterli inquadrare, «canonizzare» così presto. Eccezioni a parte «sono tutte persone - dice il musicologo - che cominciano ad avere una certa età. Il giovane di venti anni di età non lo avrei potuto prendere in considerazione ovviamente». Tra i canonizzati l'italiano Salvatore Sciarrino, l'estone Arvo Pärt e l'ungherese Gyorgy Kurtàg, nomi che hanno lasciato il segno. Tra i protagonisti gli americani, per esempio i minimalisti di Glass & Co., che hanno proposto alla vecchia Europa qualcosa di nuovo al di qua dell'oceano. «Nel Novecento - conclude Capitoni - per quanto siano state fatte sperimentazioni, anche radicali, si rintraccia un legame con qualcosa che c'è stato prima. Affascinante il concetto di spazio, che è sempre stato un po' escluso a favore di altro.
Poi sono arrivati personaggi come Ligeti, Feldman e Scelsi che hanno cercato di congelare il tempo e di dare l'idea di un suono materico». Un modo di portare lo «spazio» in primo piano. Che verrà ereditato e impiegato anche dalla cosiddetta, «attuale», musica. Che chiamano contemporanea.
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