«Li vuole i pomodori di Pachino?». «Pachino Pachino?». «Certo, Pachino proprio: 60 centesimi gli insalatari e 80 i ciliegini, al chilo». Il Maas è il nuovo mercato ortofrutticolo all'ingrosso di Catania. Dalle tre e mezzo del mattino inizia la processione dei camion che entrano e di quelli che escono in questa spianata di cemento sotto l'Etna fumante. Venditori di frutta e verdura ma anche frati francescani sfiorano assonnati la merce tra i banchi, dove spesso gli incassi entrano senza fattura. «L'80% delle persone qui non la emettono - racconta un venditore sotto stretto anonimato - c'è un controllo una volta l'anno se va bene. Quando viene la finanza vedi la fila delle api, i carretti a tre ruote, che si fermano fuori e se ne vanno. Non hanno neppure l'assicurazione pagata del mezzo. Io tra poco non verrò più: alzarmi alle due e un quarto di notte per stare in una situazione così... ». Otto del mattino, cinque chilometri verso la città, mercato del porto: ecco invece una bancarella di pomodori. C'è scritto Pachino, ma senza adesivo doc: 3 euro e 50. I pomodori Pachino sono un marchio più contraffatto di una borsa di Prada, con la differenza che nessuno si prende nemmeno la briga di copiare il logo: basta scrivere a penna «Pachino» su un pezzo di cartone e Pachino sono. Nell'anno dell'ecatombe delle primizie siciliane succede che gli originali, insalatari e ciliegini, «nemmeno i tedeschi ce li comprano più». Troppo cari: un euro solo di costo di produzione.
Per capire i problemi dei pomodori più famosi del mondo bisogna recarsi proprio a Pachino, sud-est estremo della Sicilia, lì dove è nato il marchio Igp: 81 produttori e 21 aziende di confezionamento iscritte al consorzio di tutela. Tutte in crisi nera, fatturati dimezzati rispetto al 2015. Sebastiano Fortunato, presidente del consorzio, ci mostra i bilanci: «In Sicilia non ce li comprano nemmeno più». Risalendo la costa est da Pachino, in effetti, il pomodoro pachino è introvabile. Tra meloni panamensi e angurie della Costa Rica non è pervenuto a Rosolini. Non ce n'è traccia nei negozi nemmeno a Pachino paese, compreso il supermercato più vicino alla sede del consorzio. Nemo propheta in patria, verrebbe da dire, ma il pomodorino non parla nemmeno fuori territorio: il pachino, ci spiegano, viene spedito solo «da Roma in su». E sempre più raramente. La Germania appunto: «Con i tedeschi quest'anno per il ciliegino è stato un disastro - allarga le braccia il direttore del consorzio Salvatore, Chiaramida - non riusciamo a essere competitivi con gli spagnoli e i marocchini. Se lo vuoi mandare, lo devi inviare ai prezzi che dicono loro». E, in Italia, vendere ai prezzi del mercuriale, la Bibbia dei mercati, ovvero il listino della giornata. Chiaramida indica la scheda di Vittoria con le quotazioni del 20 aprile: pomodoro ciliegino 50 centesimi al chilo, 70 per l'alta qualità. Prezzi improponibili per i pomodori doc, che arrivano ai 2 euro e 50 con il confezionamento nella tipica scatola di plastica da trecento grammi. Scatola che non c'è al Mass di Catania, al banco dei pomodori di Pachino. Da dove arrivano allora quei grappoli rossi? Qualche volta la Guardia di finanza riesce a intercettare le filiali della contraffazione, com'è successo con alcune partite tunisine nel ragusano. L'acqua e il terreno salmastro rendono così caratteristica la produzione ma anche limitata, in termini di resa, rispetto ad altre zone come quella di Vittoria («anche il 30-40% in meno»).
Le soluzioni per emergere dal pantano: una è alzare la percentuale ceduta alla grande distribuzione e intervenire anche sui «ricarichi» dei supermercati. Un'altra grana è la Tutabsoluta, una farfallina combattuta «con metodi naturali», ma considerata forma virale negli Usa: è arrivata in Italia, sono convinti i produttori, per colpa proprio delle importazioni.
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