No a nozze miste, islamici bruciano la chiesa

Un pretesto di sapore manzoniano - il classico matrimonio che non s’ha da fare-, ma in salsa islamica. Se c’è da appiccare il fuoco a qualche chiesa, e spedire al Creatore un cristiano non ci si fa pregare, ultimamente, in Egitto. L’ultima esplosione di odio nei confronti della comunità copta, nel ribollire delle violenze e nel clima di intolleranza che ha preceduto e accompagnato la fine del regime di Hosni Mubarak, è avvenuta a Foul, 30 chilometri a sud del Cairo.
Due morti, un sacerdote e tre diaconi dispersi, una chiesa bruciata. E tutto questo per ostacolare una storia d’amore tra due ragazzi: lui di religione cristiana, lei musulmana. La lite, scoppiata inizialmente tra le due famiglie (e costata la vita ai padri di lui e di lei), si è poi estesa alle comunità, e una folla di almeno quattromila musulmani ha preso d’assalto la chiesa di al-Shahidaine.
Siamo a Foul, vicino al più importante centro commerciale di Atfih, nel governatorato di Helwan. Padre Yosha, parroco della piccola comunità, e altri tre diaconi risultano dispersi. Diverse, e contrastanti, le voci sulla loro sorte, ma tutto fa pensare che il bilancio finale della tragedia possa essere ancora più pesante. Per alcuni, il parroco e i suoi diaconi sarebbero stati giustiziati. Altri dicono invece che sarebbero tenuti prigionieri non lontano dai locali della parrocchia e che il loro rilascio è questione di ore. I musulmani hanno attaccato la chiesa facendo esplodere all’interno sei bombole di gas, profanato le croci e distrutto le copule. Stando al racconto di testimoni oculare, di parte cristiana, truppe dell’esercito stazionate a Bromil, circa sette chilometri da Foul si sarebbero rifiutate di intervenire (o sarebbero state rimandate indietro da una folla di scalmanati musulmani i quali sostenevano che era tutto «a posto» e che la rissa era rientrata.
Un episodio «politico»? Una nuova fase di sanguinosa intolleranza nei confronti dei copti, come a Capodanno? O solo una rissa di paese, scatenata dal tabù della relazione mista, vista ancora dai musulmani come un’offesa che va lavata col sangue? Nella storia di Foul, naturalmente, le tre componenti si intrecciano, al punto che non è dato capire dove comincia un aspetto e dove si innesca l’altro. Così alta, tuttavia, è la tensione fra i due gruppi religiosi che gli oltre 12 mila cristiani copti residenti nel villaggio si sono chiusi in casa per evitare di fare da bersaglio agli avversari.
L’incidente è stato innescato dalla relazione tra il giovane Ashraf Iskander, cristiano copto, e una ragazza di famiglia musulmana. La regola infame della tradizione, in questo sud del sud musulmano, arcaico e ignorante, avrebbe voluto che il padre della giovane la sacrificasse, uccidendo poi il suo spasimante. Le due famiglie invece avevano accettato, obtorto collo, e sfidando la disapprovazione delle due comunità, quella relazione pericolosa. Ad Ashraf era stato tuttavia imposto di allontanarsi dal paese (forse, quella relazione si sarebbe potuta trasformare in un matrimonio, ma lontano dal paese, chissà, magari al Cairo o ad Alessandria). Ma ci si è messo di mezzo l’«onore», come in una Caltanissetta degli anni Cinquanta, giacché un cugino della ragazza si è sentito in dovere, per salvare appunto l’onore della famiglia, di uccidere lo zio, ovvero il padre della giovane. Il fratello di quest’ultima, in una sorta di perverso e sanguinoso moto circolare della vendetta ha a questo punto ucciso il cugino. A scaldare gli animi della comunità musulmana, alla quale non è parso vero di poter imputare il sangue versato dai membri della loro comunità ai «diavoli» cristiani, c’è voluto pochissimo.


In Egitto, nei giorni scorsi, è stata avanzata l’ipotesi che la strage dei cristiani copti ad Alessandria, durante la notte di Capodanno, possa essere stata pilotata da elementi del deposto governo Mubarak con l’obiettivo di creare le premesse per una ulteriore stretta sulla sicurezza. «Se ci sono state responsabilità del ministro degli Interni spero siano chiarite», ha commentato in proposito il ministro degli Esteri Frattini. «Sarebbe un segnale di cambiamento».

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