Le (nuove) piaghe bibliche

L'Italia invasa da animali che danneggiano colture e ambiente. Cormorani, lupi, gamberi e nutrie sono diventati una vera minaccia

Le (nuove) piaghe bibliche

Lo avevamo lasciato in un mare di petrolio nella prima guerra del Golfo, martire dello scontro tra Saddam e George Bush senior. Ma anche vittima di una «fake news», perché l'immagine del cormorano coperto di fanghiglia nera era falsa. Oggi un altro falso circonda il cormorano e altri animali come lui: sono considerati in estinzione mentre stanno benone; anzi, minacciano la sopravvivenza di altre specie. «Il cormorano danneggia gli allevamenti ittici. Il temolo e la trota marmorata sono in grave pericolo», spiega Pietro Genovesi, responsabile dell'Ispra per la gestione e conservazione della fauna. Dall'Alto Adige alla Sardegna, si moltiplicano i piani regionali di contenimento. «Gli abbattimenti devono essere mirati e controllati - specifica Genovesi -. È un uccello migratorio e si può fare poco in fase di prevenzione».

Le dieci piaghe d'Egitto narrate nella Bibbia annoveravano l'invasione di cavallette, rane, zanzare, locuste. Oggi le emergenze sono altre. Cormorani, cinghiali, lupi, cornacchie, nutrie, gabbiani, pesci siluro, scoiattoli grigi, gamberi americani, perfino l'ibis sacro e le garzette: l'Italia è invasa da animali che provocano danni enormi all'ambiente, ad altre specie e alle attività dell'uomo, ma che non si riesce a combattere. «È un problema molto serio», ammette il professor Adriano Martinoli, dell'unità di analisi e gestione delle risorse ambientali all'università dell'Insubria. «Essi provocano danni ad allevamenti e colture, creano allarme sociale quando si spingono nei centri abitati, ma soprattutto alterano la stabilità ambientale. Gli ecosistemi si reggono su equilibri dinamici. Se arrivano nuove specie prive di antagonisti, o non si interviene per controllare quelle già presenti, si scompensa tutto».

La legge prevede diversi gradi di tutela. Le specie locali vanno contenute, mentre quelle introdotte (anche inconsapevolmente) dall'uomo andrebbero eradicate. Come le nutrie, portate in Europa dal Sudamerica nel secolo scorso per le pellicce e poi disperse nei campi quando cambiò la moda; oppure il pesce siluro, arrivato dai fiumi dell'est Europa. L'Unione europea ha redatto un elenco di 33 specie animali alloctone (e una ventina di piante) da eliminare; ormai però gli esemplari sono talmente tanti che li si può soltanto limitare. Secondo Coldiretti in Italia vivono un milione di cinghiali e due di nutrie solo in Lombardia. I danni sono valutati in decine di milioni di euro: «I lupi sbranano le greggi, i cinghiali provocano incidenti così come le deiezioni degli storni, le cornacchie hanno attaccato degli studenti, i gabbiani rubano le merendine, il guano può portare malattie, le nutrie danneggiano i campi e i corsi d'acqua», esemplifica Genovesi.

«Introdurre specie esotiche è una forma di inquinamento - dice Martinoli -. È come petrolio sversato in mare. Con la differenza che la macchia oleosa viene smaltita, mentre l'animale si riproduce e un organismo vivente non assoggettato a un equilibrio dinamico, cioè privo di un antagonista, porta all'estinzione di specie locali. Difendere indiscriminatamente gli animali è una distorsione culturale». Perché non è questione soltanto delle specie aliene: cinghiali e cormorani vivono qui da millenni, ma chi è danneggiato dalla loro presenza non distingue se sono extracomunitari.

Il fronte animalista fatica a sentire ragioni. Per Martinoli «è una posizione ideologica pericolosa. Di solito chi protesta vive nelle città, dove oggi si crea la pubblica opinione, ma non si può fare gravare tutto il peso della gestione di queste specie soltanto su chi vive nelle campagne o in montagna».

Spesso si guarda con strabismo a questi fenomeni: nessuno obietta se c'è da debellare la zanzara tigre (originaria dell'Asia) ma guai a toccare lo scoiattolo grigio, al quale dovrebbe spettare la stessa sorte perché nordamericano e nemico degli scoiattoli europei, che però ricorda tanto Central park.

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