Ora il Professore insulta chi vota Forza Italia: gente che viola la legge

Prodi: «Se Berlusconi vince vivremo nel Paese dell’abuso. Il suo partito? Quello di chi parcheggia in seconda fila, di chi non rispetta le regole»

Fabrizio de Feo

da Roma

Prima il «grande sdegno» per la parolaccia pronunciata due giorni fa dal premier davanti alla platea di Confcommercio. Un’acrobazia complicata per chi, come il Professore e la coalizione da lui guidata, non si è mai sottratto all’uso politico dell’odio contro l’avversario, trasformato in nemico da colpire e possibilmente abbattere. E poi il ritorno alla tonalità consueta, al vecchio vizio: quello dell’insulto, questa volta rivolto contro il popolo di Forza Italia, «il partito di quelli che vogliono parcheggiare in seconda fila». Il tutto nell’arco di sole quarantotto ore.
Nello sprint e nel rumore pre-elettorale capita anche questo: che Romano Prodi dopo essersi mostrato colpito nella sua dignità dall’epiteto anatomico usato da Silvio Berlusconi volti pagina e pronunci parole di fuoco in una intervista a L’Espresso. «Avevo previsto una campagna elettorale violenta. Sarebbe stata una campagna diversa se Berlusconi fosse partito in vantaggio. I contenuti di una campagna li decide chi è in testa. Ma chi è indietro, soprattutto se dispone di più armi mediatiche stabilisce il tono, i modi che possono essere violenti. Berlusconi non aveva altra alternativa che spargere veleno, come ha fatto e farà sino all’ultimo giorno» spiega il Professore. «Se Berlusconi vince, vivremo nell’Italia dell’abuso. Un giorno ho definito Forza Italia il partito di quelli che vogliono parcheggiare in seconda fila. Avevo indovinato lo spirito, ma non l’intensità della violazione di leggi, regolamenti, codici, norme di civiltà».
Niente male. Soprattutto per chi poche ore prima aveva apostrofato il premier, colpevole di essersi lasciato sfuggire la parola «coglioni», vestendo i panni della vergine bianca. «Silvio Berlusconi con le sue dichiarazioni arroganti di oggi» aveva dichiarato il Professore il 4 aprile scorso «dimostra disprezzo non soltanto per i leader, ma per tutta la gente, il popolo. Io non mi rivolgerei mai con quei toni agli elettori di Forza Italia». Detto, fatto. Il leader dell’Unione promette la «pacificazione» e tratteggia i contorni di una Italia pacata e rassicurante - «Voglio un’Italia più giusta - assicura a l’Espresso - soltanto così sarà un Paese pacificato. E non si pacifica con le parole, ma con il senso di giustizia». Ma poi lancia il suo affondo contro gli esponenti e gli elettori di Forza Italia. Coadiuvato dal senatore diessino Stefano Passigli che si scaglia con violenza contro il premier: «Vi sono oggi ragioni per dubitare dell’equilibrio mentale di Berlusconi. Ormai il suo essere alla guida del governo è motivo di rischio per il Paese».
In serata, poi, si consuma l’ennesima capriola. Romano Prodi parla in un comizio a Cagliari e di fronte ad alcuni ragazzi che innalzano grandi fogli bianchi con la scritta «io sono un coglione», torna buonista. «Dai cartelli che state alzando - esordisce il Professore - capisco che queste cose hanno contribuito ad unirci. Questi epiteti non ci hanno fatto odiare l’altra parte. Perché abbiamo il senso dell’umorismo e dell’ironia. Ci hanno fatto desiderare ancora di più che il centrodestra se ne vada finalmente a casa». Quindi, a proposito del premier: «Non ho infierito quando Fini mi chiese di non farlo dopo le parole sconnesse e irripetibili che Berlusconi pronunciò davanti al Parlamento europeo. Non infierirò, perciò, nemmeno davanti agli epiteti anatomici usati nei nostri confronti». «Se questo Paese» aggiunge Prodi, osannato dai simpatizzanti dell’Ulivo, «ritornerà ad avere il senso della giustizia e dell’equità è un Paese che farà un salto in avanti meraviglioso e tornerà a essere fra i primi in Europa». Un Eldorado raffigurato da colui che si autodefinisce «l’uomo della coesione nazionale». E quando gli viene chiesto se sia disposto ad andare a pranzo con Berlusconi, all’indomani delle elezioni, per ricucire dopo una campagna elettorale tanto aspra, Prodi risponde così: «Se Silvio Berlusconi e sua moglie passano da Palazzo Chigi, perché no?».

Un modo per far trasparire sicurezza nella vittoria e marcare sempre più il suo profilo di premier di tutti, in grado di ricomporre il Paese. Magari rinunciando al vizio coltivato dalla sua coalizione per cinque anni: quello dell’insulto e della sistematica violenza verbale contro l’avversario.

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