Un orrore per sole donne. La storia nascosta del lager di Ravensbrück

La giornalista Sarah Helm racconta il luogo di sterminio nazista dove furono imprigionate contesse, intellettuali, giornaliste, spie e oppositrici da tutta Europa

Un orrore per sole donne. La storia nascosta del lager di Ravensbrück

La storia di Ravensbrück è rimasta nascosta a lungo. Anche il campo era nascosto. Fra i boschi a nord di Berlino, lungo la strada per Rostock e il mare del Nord, sulle rive di un lago Himmler aveva fatto costruire un campo di concentramento per sole donne, in suolo tedesco. Ravensbrück aprì le porte nel maggio del 1939: le prime prigioniere erano prostitute, vagabonde, zingare, criminali, indigenti, disabili. Poche, all'inizio, le oppositrici politiche. Non necessariamente ebree: il campo era stato concepito per le «asociali», il rifiuto della società nazista, per le quali serviva «un posto a parte».

In sei anni, a Ravensbrück sono finite circa centotrentamila donne, la maggior parte polacche, russe, francesi, e poi olandesi, britanniche, italiane, e le stesse tedesche. Ne sono morte fra le trenta e le novantamila, molte coi loro bambini. La loro storia è poco nota «per molte ragioni», spiega Sarah Helm, giornalista inglese autrice di Il cielo sopra l'inferno (Newton Compton, pagg. 719, euro 12,90), un lungo saggio-reportage, frutto di sei anni di lavoro, che raccoglie i documenti, le interviste alle (poche) sopravvissute, i diari e le memorie scovate negli archivi dell'ex Germania Est. Il fatto che il campo si trovasse oltre la Cortina di ferro è uno dei motivi per cui non se ne è parlato per decenni: «Era difficile da raggiungere, da visitare, da studiare - dice la Helm, che si trova in Italia al 900fest di Forlì - Durante la Guerra fredda era ricordato solo per le vittime comuniste, le altre erano state dimenticate. La storia è stata distorta a lungo». Molte sopravvissute poi «non volevano parlare, si vergognavano»; oppure «nessuno voleva ascoltarle». Sarah Helm ha iniziato ad ascoltare le loro voci scrivendo la storia di Vera Atkins, ufficiale dell'Esecutivo Operazioni Speciali dei servizi segreti di Sua Maestà. Dopo la fine del conflitto, molte donne della sezione mancavano all'appello: alcune erano finite nei campi di sterminio, fra cui Ravensbrück. «C'erano donne di ogni estrazione sociale: contesse polacche, francesi benestanti, intellettuali, giornaliste, la créme delle donne d'Europa». Una di loro era Grete Buber-Neumann. «Il marito era un leader del partito comunista tedesco. Stalin lo uccise e spedì lei in un gulag in Siberia. Fu restituita a Hitler da Stalin come “dono”, con una serie di altri prigionieri». Fu così che finì a Ravensbrück. «Aveva sperimentato le miserie e le atrocità di due dittatori, Stalin e Hitler. Nel campo divenne una leader, soprattutto fra le polacche». Le tedesche, le comuniste tedesche, la odiavano. «Quando sentirono che era stata vittima della repressione di Stalin, e che andava in giro a dire che non bisognava fidarsi del comunismo, la esclusero. Il gruppo delle comuniste tedesche era potente, ottenevano i lavori migliori nel campo, erano molto selettive. Erano donne coraggiose, che avevano osato sfidare Hitler, però poi discriminavano le altre prigioniere». Sarha Helm ha parlato con la figlia di Grete, che vive in Israele. «Grete diventò molto amica di Milena Jesenská, l'amore di Kafka. Anche lei si trovava a Ravensbrück. Forse Grete amava Milena, in ogni caso c'era una grande intesa intellettuale. Milena era stata anche giornalista a Praga e già allora aveva intuito i lati oscuri del comunismo. Milena morì a Ravensbrück».

Molte donne morivano per le sofferenze, per le punizioni feroci: «All'inizio Himmler era stato cauto, temeva l'opinione pubblica. Ma dal gennaio del 1940 autorizzò anche lì le punizioni fisiche, le torture e i pestaggi, che non erano diverse da quelle dei campi maschili. C'era un bunker in cui le prigioniere venivano tenute in isolamento anche per un mese di fila, al buio, in piedi, frustate e affamate». Alcune prigioniere furono utilizzate come cavie per esperimenti, altre furono costrette ad abortire. Alla fine del 1944 cominciarono le esecuzioni di massa, le camere a gas entrarono in funzione all'inizio del '45. Ma uno degli aspetti più sconvolgenti del campo «era il fatto che le guardie fossero donne, come le prigioniere»: donne «apparentemente normali, giovani, diventate complici della politica dell'atrocità e dello sterminio».

Oggi le sopravvissute sono sette: «Una vive vicino a casa mia, a Londra - racconta la Helm - Una olandese, che fu sfruttata nel campo di lavoro della vicina fabbrica Siemens. Quando non potevano più lavorare, le donne venivano gasate». Per altre, l'orrore non finì neppure con la liberazione. «Alcune furono stuprate dai soldati dell'Armata Rossa, che violentarono non solo le tedesche, ma anche le prigioniere e le stesse russe». E per loro, le concittadine di Stalin, non era ancora finita: «Tornate in patria furono punite, accusate del crimine di essere state catturate e di avere vissuto in un campo fascista. Alcune furono processate e mandate in Siberia».

Il libro, in originale, si

intitola If this is a woman , «se questa è una donna»: «Perché il messaggio di Primo Levi è universale. Perché parla delle donne ormai senza capelli e senza nome, come quelle di Ravensbrück, lasciate senza nome dalla storia».

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