Palmaria, il paradiso dove si vive e si lavora coi sapori della terra

Maria Vittoria Cascino

L'ora giusta è al mattino, col sole dall'Appennino che infila il mare aperto tra Portovenere e la Palmaria. La luce radente e il silenzio. Guadagni l'isola senza fretta. Portovenere brulica, resta l'eco. Alla Fortezza Umberto I parlano di mettere in rete le isole minori per fare sistema. Un modo per ottenere «potere d'acquisto». C'è la proposta di legge dell'onorevole Lumia per favorirne lo sviluppo sostenibile. C'è Luciano Faraguti, già sottosegretario al Turismo, che insiste sul coniugare vocazione turistica e permanenza delle persone su queste isole. C'è Claudio Burlando, presidente Regione Liguria, che annuncia l'impegno a demolire lo scheletrone della Palmaria per acquisire e rendere produttivo quel sito, insieme alle altre aree libere dell'isola che la Regione dovrebbe acquistare. Il resto è il puzzle di testimonianze e ipotesi di politici e amministratori.
La Fortezza diventa il contenitore spazio-temporale. Gli alloggi centrali pullulano di espositori che raccontano il concreto. Che mostrano tipicità e comunicazione. L'osservatorio privilegiato è la Palmaria, un centinaio di abitanti, una trattoria e tre aziende agricole per un triangolo di 6.5 chilometri quadrati. Che traguarda poche centinaia di metri più sotto le isole del Tino e del Tinetto. Arcipelago del Golfo della Spezia. Orgoglio e bellezza. Dal Molo Italia del porto Spezzino venti minuti di traghetto e scendi alla Palmaria. Di fronte Portovenere e Le Bocche da attraversare per raggiungere il borgo. Per due terzi presidio militare, è l'unica isola ligure abitata stabilmente. Dove vedi panni stesi e ti fa vita vissuta. Ci sta la cartolina e il patrimonio dell'Unesco. Ci stanno i sentieri che la scorrono aspri e i turisti che la tastano con gli scarponi. Ma ci sono gli altri, quelli delle lenzuola gonfiate dal vento di mare. Che hanno disboscato e recuperato. Sui versanti più dolci che guardano Portovenere.
Di là, verso il mare aperto, solo falesie a picco sull'acqua. In barca arrivi alla Grotta Azzurra e se ti cali con delle corde raggiungi quella dei Colombi, dove fossili animali e resti umani ti riportano ad una storia di cinquemila anni fa. Poi ruderi e una cava abbandonata del pregiato marmo nero con striature dorate. L'elenco delle ricchezze è il book di presentazione. Ma la mano sul cuore ha il gusto di olio, vino, miele e mirto. È la Palmaria che non ci sta a finire sul sito dei tesori cristallizzati. Da qua, in questa fortezza che diventa ventre, Gabriella Isola è davanti al banco dei suoi prodotti. Una brochure? Macchè, ti dice lei tutto. Ti racconta di Cà del Mar, l'azienda agricola a 90 metri sul livello del mare, che manda avanti sull'isola con marito, figlio, un'amica e una parente. «Cinque disperati» scherza Gabriella. Per diecimila metri quadri e trentacinque anni di lavoro. Olio , mirto e «da quest'anno abbiamo portato l'uva fuori dall'isola». Il vino lo hanno sempre fatto. Buono per loro. Poi il sommelier Antonello Maietta scopre il vigneto, il marchio IGT che è un peccato dimenticarselo al largo. «Ci propone di farne un vino tipico». Mica facile. Caricati l'uva nella cassette, scendi al mare, imbarcala e scaricala sul camioncino che la porta a Monterosso per la spremitura.
«Alla prima era già intorno ai 12-13 gradi». Lo stanno aspettando questo vermentino di Palmaria, che l'uva bianca adagiata a natura morta lo anticipa nell'immaginario. Più in là Renzo Paglini e il riconoscimento delle tre api d'oro. Una tenuta di quattro ettari, La Catò, («mica li coltivo tutti» ti tranquillizza Renzo) e miele Millefiori che è l'epica dell'isola. Incontaminata e ricca. Ti spieghi perché continuino a restarci. Gianluca Bianchi ti dà il biglietto della sua Casa del Frate, l'altra azienda dell'isola. «Acquistata l'area di 2 ettari, abbiamo scoperto che sotto i rovi c'erano gli uliveti». Ripristinano i muretti a secco e la casa «testimoniale», l'unica sull'isola a documentare l'insediamento abitativo. Tre anni di lavoro, oggi producono olio, mirto e vino. «Aspettiamo il regolamento del Parco per avviare l'agriturismo. Con altri sull'isola, 32 in tutto, abbiamo fondato nel 2004 l'associazione Hotel Paese per un territorio che non possiamo perdere. Abbiamo presentato un progetto pilota comunitario per il recupero e la valorizzazione dei borghi agro-marini di Palmaria, Campiglia e Castè. A breve l' incontro con gli enti locali». Stanno seminando. E puntano per il futuro ad un consorzio in cui vendere i loro prodotti. La Fortezza pulsa.
Roberto Pomo, direttore del Comune di Portovenere e responsabile dell'organizzazione del seminario, spinge sulla Palmaria-sede dell'operazione isole minori, «dove far convergere ricerca, università e sicurezza. Qui abbiamo già un centro di educazione ambientale che farà il paio con quello previsto a Portovenere. L'idea è ospitare gli studenti dei master proprio nella Fortezza».

Un master su turismo e ambiente in collaborazione con l'Università di Pisa è già partito. In cantiere uno sull'archeologia subacquea. Inattaccabile questa Palmaria che la Difesa si tiene stretta. Ma pronta a farsi scoprire nei suoi privilegi.

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