La granata che avvia l’italica Beresina parte dalla sala stampa del ministero degli Esteri di Teheran dove il portavoce Mohammad Ali Hosseini biasima e critica le reazioni internazionali alle 16 impiccagioni della settimana e alle condanne a morte di due giornalisti curdi. Su quel fronte è intervenuta nei giorni scorsi anche la Farnesina esprimendo «forte inquietudine per le esecuzioni» e invocando la sospensione della condanna dei due giornalisti. Ma al governo di Teheran - fa capire Ali Hosseini - le proteste dell’Italia e degli altri Paesi non vanno giù.
«Ogni Paese indipendente agisce contro i criminali secondo le proprie leggi, e qualsiasi interferenza esterna rappresenta un’ingerenza negli affari interni», dichiara Ali Hosseini, aggiungendo che la condanna dei giornalisti non ha nulla a che vedere con le loro attività professionali «bensì con i crimini commessi».
La Farnesina, chiamata a far i conti con le conseguenze di quella secca replica, non perde tempo. Sulla bilancia ci sono da una parte i sacrosanti principi della lotta alla pena di morte e dall’altra i rendiconti sulle importazioni di idrocarburi iraniani e sulle esportazioni di tecnologia e manufatti. Quei conti parlano chiaro. Il nostro Paese resta in testa negli scambi commerciali con la Repubblica Islamica. Dunque fino a quando Teheran vende e compra, la battaglia contro la forca può attendere.
A ordinare la ritirata nel bel mezzo della sua missione al Cairo ci pensa il sottosegretario Ugo Intini. «Il governo di Teheran - dichiara - conosce bene le buone intenzioni del governo italiano, che ha sempre cercato di risolvere attraverso il negoziato le crisi internazionali, come quella dell’Irak, del Libano e il conflitto palestinese». Insomma scherzavamo, dicevamo tanto per dire, non intendevamo offendervi e, se così vi è sembrato, scusateci, non lo faremo più. La classica fermezza, viene da dire, del rappresentante di un governo candidatosi a guidare la battaglia per la «moratoria universale sulla pena di morte». Ma quel concetto di «universale - chiarisce Intini - non riguarda né la Repubblica islamica, né le impiccagioni nelle sue piazze. «Siamo di fronte - precisa senza rossori né imbarazzi, «a una battaglia di principio» non certamente mirata contro un singolo Paese. Una battaglia caratterizzata dalla ricerca del dialogo e dall’attenzione ad «evitare qualsiasi interferenza nella politica interna altrui». L’unica seccatura sembra la platealità di quelle esecuzioni pubbliche.
«Siccome proprio l’Italia è tra i Paesi che più credono nel dialogo con l’Iran - argomenta il sottosegretario -, tutto ciò che aumenta la tensione e colpisce l’opinione pubblica capitale, e le esecuzioni colpiscono l’opinione pubblica occidentale, non aiuta». Se proprio dovete impiccare - sembra dire Intini - fatelo pure, ma con discrezione. A rendere ancora più schizofrenica la politica italiana ci pensa il deputato della Rosa nel pugno Daniele Capezzone. Pur militando nelle file del governo, Capezzone non perde l’occasione per sparare a zero contro Teheran e smentire il sottosegretario Intini. «L’Iran - dichiara il deputato - si conferma leader degli Stati canaglia nel mondo. E non è solo questione di pena di morte. Il punto è la sistematica soppressione della libertà e della democrazia; il finanziamento e il sostegno del terrorismo internazionale; la destabilizzazione dei tentativi democratici in Medio Oriente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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