La trappola che impedisce di incastrare le toghe sulla responsabilità civile

I tre anni per il risarcimento si calcolano dall'arresto: così richieste impossibili

Il pm di Napoli Henry John Woodcock
Il pm di Napoli Henry John Woodcock

Una legge sbandierata dal governo Renzi come una pagina di civiltà. Ma una dose di robusto scetticismo è d'obbligo dopo aver letto gli articoli della nuova norma sulla responsabilità civile dei magistrati, appena approvata dopo interminabili polemiche dentro e fuori il Palazzo. Scintille, scenari apocalittici, previsioni nefaste sul futuro delle toghe italiane. E invece trabocchetti e trappole ci sono ancora. Una in particolare: il termine entro cui si può fare causa è ancora troppo stretto per chi sia finito negli ingranaggi di una giustizia ingiusta. Il termine infatti aumenta, e questo è meritorio, da due a tre anni. Ma il triennio viene calcolato nello stesso modo in cui si conteggiava con la legge Vassalli: in pratica a partire dalla fase cautelare, delle manette. E non dopo il verdetto di assoluzione. Dunque, troppo presto, in una fase delicata e drammatica del procedimento in cui la causa al magistrato che abbia sbagliato è l'ultimo pensiero per l'inquisito che sta combattendo. E vuole solo dimostrare la propria innocenza: di conseguenza tiene un profilo basso, immaginando che una controdenuncia contro chi lo accusa possa diventare un boomerang.

L'articolo chiave è il 4: «L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimento cautelari o sommari». Qualche riga dopo il legislatore aggiunge: «la domanda dev'essere effettuata a pena di decadenza entro tre anni».

Eccoci al punto infiammato. È vero, gli anni non sono più due ma tre, e però l'ostacolo, che nessuno pare aver visto in Parlamento, è lì a bloccare il passaggio: il countdown comincia quando l'inchiesta è ancora in pieno svolgimento. Quando l'inquisito è ancora in carcere o ai domiciliari e magari dev'essere ancora rinviato a giudizio. Il linguaggio è tecnico e poco comprensibile per il profano, ma il senso è chiaro: il conto alla rovescia inizia nel momento in cui il provvedimento cautelare si cristallizza. Che vuol dire? Poniamo che l'indagato sia in carcere e continui a professarsi innocente. L'avvocato ha giocato la carta della scarcerazione prima al tribunale del riesame, poi in Cassazione. Ecco, la linea di partenza viene stabilita sul calendario il giorno in cui la suprema corte si è pronunciata su quel punto. Prima dell'eventuale condanna di primo grado. E dei successivi gradi di giudizio. Tutte queste fasi arriveranno nel tempo ma sappiamo come sia lenta, a volte quasi immobile, la nostra giustizia. E allora il legislatore, vecchio o nuovo fa poca differenza, detta una partitura che pare essere obiettivamente poco realistica. Perché costringe a venire allo scoperto nel momento meno opportuno.

Spiega l'avvocato Francesco Murgia, storico difensore di Vittorio Emanuele di Savoia: «Ma io come faccio a iniziare un'azione di responsabilità civile contro un magistrato se sono ancora sotto scacco? Se il mio procedimento è ancora in corso e le accuse non sono cadute?». Un'osservazione semplice, di buonsenso, che però pare essere sparita nelle curve di un dibattimento appassionato. La nuova legge ha abolito, e non è poco, il filtro che prima bloccava gran parte dei procedimenti, e ha ritoccato alcuni punti, ma ha trascurato questo elemento. Prosegue Murgia: «Per intraprendere la causa contro il pm Henry John Woodcock e il gip Alberto Iannuzzi abbiamo dovuto attendere che il principale capo d'imputazione, l'associazione a delinquere, si afflosciasse. Purtroppo abbiamo dovuto pazientare a lungo, per anni e anni». Il testo in carta bollata è stato presentato il 9 dicembre 2011. Troppo tardi. Puntuale come un orologio svizzero è scattata la ghigliottina: «L'azione - scrivono i giudici di Catanzaro - è inammissibile perché non tempestiva con riguardo alla richiesta di applicazione della misura emanata da Woodcock il 29 maggio 2006 e all'ordinanza emanata dal gip Iannuzzi il 15 giugno 2006. Il termine biennale decorre quando non sia più possibile la rimozione dell'ordinanza del gip che ha disposto la misura cautelare». Oggi il termine è triennale ma il nocciolo del problema è ancora lì. La giustizia va di corsa. E non aspetta.

Il principe dovrà accontentarsi dei 39mila euro incassati dopo la vittoria in un altro processo: quello per l'ingiusta detenzione. La responsabilità civile rischia di restare nel cassetto in cui è chiusa da quasi trent'anni.

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