300 milioni a De Benedetti invece di rifare la centrale

In 11 anni la famiglia dell'Ingegnere ha intascato un maxi dividendo ma non ha ristrutturato l'impresa della morte nel mirino delle procure

Settecento milioni di euro: è l'astronomico dividendo che i soci di Tirreno Power (cioè la famiglia De Benedetti e i francesi di Gdf Suez, più due municipalizzate «rosse») si sono divisi in 11 anni. Altro che stabilimento decotto, con debiti altissimi sfociati nell'intervento delle banche per ristrutturarlo. La centrale a carbone di Vado Ligure era una macchina da soldi fatti, così sospetta la procura della Repubblica di Savona, sulla pelle di oltre 400 persone morte per ragioni (si teme) legate alle emissioni inquinante, e di altre migliaia colpite da gravi infezioni respiratorie.

Una montagna di soldi. Finiti in buona parte nelle casse della famiglia De Benedetti, che nel marzo 2015 è uscita dall'azionariato di Tirreno Power dopo essere stata un socio paritario con Gas de France e addirittura maggioritario dal 2007 al 2011. Nell'avviso di conclusione delle indagini per gli 86 indagati per disastro ambientale (tra cui i manager aziendali e amministratori incluso l'ex governatore democratico Claudio Burlando), i pm savonesi hanno scritto che in 11 anni l'impianto ha fruttato ai soci (Gdf Suez, Sorgenia-Cir, e le municipalizzate Iren e Hera di Torino, Genova, Bologna) 1 miliardo di euro di profitti e ha assicurato «la distribuzione effettiva di utili ai soci pari ad almeno 700 milioni di euro».

Sorgenia controllava il 78 per cento della cordata Energia Italia che possedeva metà delle azioni (l'altra metà era francese). Quindi alla società del gruppo Cir-De Benedetti sono andati quasi 300 milioni di dividendi. «Uno dei sindaci della Tirreno Power e di Unicredit ha detto che il denaro usciva dal rubinetto come il latte - ha riconosciuto nei giorni scorsi il procuratore capo Francantonio Granero -. Quell'azienda era una miniera d'oro».

Una telefonata intercettata dai Noe lo conferma. È un colloquio del 18 settembre 2014 tra Andrea Mangoni (amministratore delegato di Sorgenia spa e consigliere di Tirreno Power Spa) e Giulio Rolandino, dirigente di Mediobanca che – informano i Noe – aveva tentato di risolvere questioni finanziarie tra Sorgenia e Gdf Suez. Dice Rolandino a Mangoni a proposito dei colloqui avuti con i francesi: «Se questa cosa va nella merda… automaticamente quello che può essere un danno ambientale… modesto… diventa un danno ambientale enorme su cui c'è una responsabilità vostra… e che avete portato via 700 milioni di dividendo che se non fossero stati portati via sarebbero stati lì per fare… rifare la centrale… d'oro».

Commentano gli inquirenti: «Tra Mangoni e Rolandino viene espressa la consapevolezza che se i soci non si fossero divisi interamente gli utili maturati negli anni addietro, ci sarebbero di fatto stati i fondi da investire nelle migliorie ambientali della centrale termoelettrica di Vado Ligure».

Non c'è da stupirsi se tanta gente si dannasse l'anima per bloccare i magistrati che avevano posto sotto sequestro giudiziario una parte di questa zecca alimentata a carbone, o aggirare le norme antinquinamento con leggine ad hoc .

Manager di Tirreno Power, membri del governo (dalle registrazioni emergono i nomi di Federica Guidi, Gianluca Galletti e soprattutto del viceministro Claudio De Vincenti che avrebbe addirittura proposto di sollecitare al Csm un'ispezione alla procura di Savona), avvocati di grido, lo stesso ingegner Carlo De Benedetti: secondo il procuratore Granero ebbe «contatti indiretti con l'ex presidente della regione» Burlando. E dirigenti ministeriali: «Serve una porcata per salvare Tirreno Power», dicono due funzionari del dicastero dell'Ambiente intercettati.

di Stefano Filippi

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