«Dottoressa, si tiri giù le mutande». No, non è una frase che ha a che fare con la sfera privata. Cristiana, in un post su Facebook, racconta qualcosa che non dovrebbe mai succedere in un Paese normale. Roma, 26 gennaio 2018, esame scritto del concorso di Magistratura: è il giorno degli esami e all'ansia di far bene, si aggiunge anche quella di consegnare in tempo. Cristiana, è in fila ai bagni delle donne. Con lei tante ragazze. La fila è lunga, alcune sono davanti alla porta da 20 minuti, tempo prezioso sottratto al test. L'esame scritto di magistratura richiede studio, concentrazione e costanza. Ed è chiaro che, in caso di necessità fisiologiche, l'obiettivo rimane quello di fare più in fretta possibile. Tuttavia, mentre le ragazze sono in attesa, «arrivano dei poliziotti penitenziari» che invitano le ragazze a recarsi nei bagni esterni. Ma le ragazze non vogliono perdere il loro posto in fila, perché è quasi il loro turno. E si rifiutano di cambiare servizi. Però, a quel punto, le cose si complicano: uno dei poliziotti va a chiamare due colleghe. Quando arrivano le poliziotte, le cose, stando a quello che scrive Cristiana, iniziano a prendere una brutta piega. «Non vogliono andare fuori che hanno freddo? Lasciatele qui che le riscaldiamo noi», dicono le poliziotte. E iniziano le perquisizioni. Arriva il turno di Cristiana. Ma lei capisce che qualcosa non funziona: la ragazza che c'è prima di lei esce dal bagno in lacrime. «Io lì per lì, non avevo capito quello che stava succedendo», scrive. Le poliziotte le dicono di mettersi nell'angolo, «nel corridoio, con loro due davanti che mi fanno da paravento per la perquisizione». E qui, Cristiana scrive, «non mi mettono le mani addosso. Mi fanno tirare su maglia e canotta. Mi fanno slacciare il reggiseno. Poi giù i pantaloni». Ma non finisce qui. «La cosa scioccante è stata quando mi hanno chiesto di tirare giù le mutande». Cristiana non cede. Abbassa di poco l'orlo degli slip. E allora, le poliziotte le dicono «Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Cos'è? Ha il ciclo che non vuole?». Cristiana, dopo il racconto su Facebook, non rilascia dichiarazioni. Ma dal post si percepisce la sua rabbia. «Quello che è successo a me e ad altre mie colleghe ha solo un nome: violenza».
Le partecipanti a un esame di magistratura non sono dei criminali. Nessuno vorrebbe trovarsi in una situazione del genere. Non nei bagni, in sede d'esame. Una perquisizione fatta così è una violazione. E, da donna a donna, massima vicinanza a Cristiana.
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