Ohio, Mississippi, Missouri, Kentucky, Georgia, Alabama: da ieri, all'elenco degli Stati americani che hanno approvato leggi restrittive sull'aborto si è aggiunto un nuovo nome. Anche la Louisiana ha deciso di adottare il criterio del battito cardiaco del feto: dal momento in cui è rilevabile, non si può più interrompere la gravidanza. Questo implica che una donna potrà ricorrere all'aborto solo entro le prime 6 settimane, mentre la storica sentenza della Corte suprema Usa «Roe contro Wade», che ha finora disciplinato l'aborto a livello federale, fissa questo limite a 24-28 settimane, cioè da quando il feto è potenzialmente in grado di sopravvivere fuori dall'utero materno. La nuova legislazione approvata dalla Louisiana prevede eccezioni solo in caso di pericolo di vita per la donna o patologie letali per il nascituro, ma non ad esempio in presenza di stupro o incesto. Il testo è passato a larga maggioranza sia al Senato sia alla Camera locali. In Louisiana, d'altronde, quella sull'aborto è una battaglia bipartisan: la proposta, oggi convertita in legge, è stata presentata da un senatore democratico e lo stesso governatore John Bel Edwards, anche lui democratico e pro-life dichiarato, ha già detto che la firmerà senza indugi.
Ma la Louisiana è, appunto, solo l'ultimo Stato americano ad aver ristretto il diritto all'aborto. Il caso più eclatante resta quello dell'Alabama: la riforma approvata due settimane fa lo rende illegale in ogni caso e a qualunque stadio della gravidanza. L'unica eccezione è concessa in presenza di grave rischio per la salute della donna. I medici che eseguiranno le procedure potranno essere condannati a pene tra i 10 e i 99 anni di carcere. Tutte queste normative sono incompatibili con la sentenza della Corte Suprema datata 1973, prima della quale ogni Stato era libero di disciplinare la materia come credeva.
L'obiettivo dei governi statunitensi che stanno introducendo restrizioni è proprio questo: approvare leggi in aperto contrasto con la «Roe contro Wade», in modo che vengano bloccate dai tribunali; a quel punto gli Stati potranno ricorrere contro lo stop fino alla stessa Corte Suprema che, avendo ora una maggioranza conservatrice grazie alle nomine fatte dal presidente Donald Trump, potrebbero rivedere la storica sentenza. Caduta questa, ogni Stato tornerebbe legittimato a regolamentare - o vietare - autonomamente l'aborto.
Alcune grandi società si stanno opponendo a queste politiche, come già accaduto in altri momenti dell'amministrazione Trump. Quando è scoppiato lo scandalo delle famiglie separate al confine con il Messico, per esempio, il settore tech ha preso posizione contro la Casa Bianca, da Apple a Facebook, da Twitter a Google. Ora, in tema di aborto, è la volta di Disney e Netflix: entrambe hanno dichiarato che smetteranno di girare le proprie pellicole in Georgia se entrerà in vigore la legge da poco approvata che vieta l'aborto a partire dalla sesta settimana di gravidanza. «In Georgia impieghiamo diverse donne, i cui diritti, come quelli di milioni di altre, subiranno restrizioni severe», ha commentato il responsabile dei contenuti di Netflix, Ted Sarandos.
Nelle stesse ore l'amministratore delegato di Disney, Bob Iger, ha definito «molto difficile» l'eventualità che si continui a lavorare nello Stato con
quelle norme applicate. In Georgia, solo nel 2018, Disney ha girato 455 produzioni e impiega 92mila dipendenti. Si vedrà se la pressione economica e occupazionale farà più effetto della mobilitazione della società civile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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