Milano Serramenti. Finiture. Componenti in legno. Maurizio Lupi accompagnato dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi si aggira fra gli stand, sorride e stringe mani. Un comportamento ineccepibile nel giorno in cui i giornali frugano nella sua vita, si soffermano sul Rolex regalato al figlio e sul lavoro garantito al rampollo. Poi irrompono i giornalisti, lo mitragliano di domande, si arriva al battibecco. Sempre a proposito di Luca, in questo momento l'ingegnere più famoso d'Italia. «Non può essere un peccato aver scelto di fare l'ingegnere quando io neanche avrei immaginato di fare il ministro delle Infrastrutture e aver preso una laurea da 110 e lode». «No, suo figlio ha preso 106» lo contraddice un cronista. «Forse lei ha controllato un nome sbagliato - è la controreplica - sono pronto a scommettere con lei e a rivederci qui perché lei ammetta di aver sbagliato». Il ministro si allontana, scuro in volto. Nel parapiglia, fra le telecamere e taccuini, qualcuno inciampa e fa cadere un espositore. Dallo stand si affaccia un signore che nota il personaggio del giorno e gli grida di tutto: «Vergogna». «Dimettiti». Un singolo contestatore dall'effetto stereofonico. Come il solito, implacabile inviato di punta che insiste e provoca: «Ma almeno quel vestito è tuo? Chi te l'ha pagato?»
Lupi è già fuori. Sale in macchina per correre a Linate. Solo qualche giorno fa immaginava un viaggio pieno di note positive: i segnali di ripresa, la Fiera che riparte, i padiglioni dell'Expo ormai in dirittura d'arrivo. Maurizio Lupi pensava di rientrare non una ma due volta a casa: a Milano, la sua città, e in Fiera dove ha costruito un pezzo della sua carriera, prima come responsabile relazioni esterne e poi come amministratore delegato di Fiera Milano Congressi. Sognava di fare il sindaco della metropoli, lui che è cresciuto in un quartiere periferico come gli Olmi, ma adesso si naviga a vista. Il futuro si misura in giorni e ore, le previsioni sono abolite, ogni passo può essere l'ultimo sotto i riflettori. Fra voci e sussurri.
Per ora la parola d'ordine è una sola: resistere. Non mollare. Non dimettersi. «Voglio andare in Parlamento - spiega in una ressa indescrivibile - devo dare tutte le risposte politiche e individuali, la maggioranza valuterà le mie parole». Insomma, il ministro non si tira fuori dalla bolgia. Probabilmente pensa che la resa verrebbe letta come un'ammissione davanti all'opinione pubblica. E lui invece respinge ogni addebito, piuttosto si attrezza per il difficile passaggio: saranno giorni di attacchi durissimi, di frecciate velenose, di allusioni pesanti. E nessuno può sapere se da Firenze arriveranno novità. Ma lui non cede: «Chiederei scusa agli italiani se avessi fatto qualsiasi gesto sbagliato, ma io non ho fatto niente di questo».
Gli chiedono del Rolex, valutato oltre 10mila euro ma secondo altre stime non più di 3.600 euro, e lui per un attimo sembra rimproverare il figlio: «Se mi fosse stato dato un orologio non avrei accettato. Né mai l'ho fatto. Sono il ministro, non ho bisogno che nessuno mi faccia dei regali». L'assedio è su tutti i lati, la giostra delle domande arriva al lavoro di Luca: «Non ho mai fatto pressioni per chiedere l'assunzione di mio figlio e dunque non ci potrà mai essere alcuna intercettazione su questo». Il riferimento è all'articolo di Repubblica che mette in pagina la presunta bugia del ministro che in un dialogo con l'onnipotente Ercole Incalza caldeggia un appuntamento con Luca che subito dopo troverà una sistemazione.
Tanti fronti. Aperti in simultanea.
La polemica si combatte sul dettaglio: non si discute sulle responsabilità politiche del ministro e del governo intero, e nessuno si chiede come mai gli Incalza siano una presenza fissa nei Palazzi del potere; no si va a caccia di Rolex e vestiti. Lupi guadagna un giorno e prova ad ancorarsi allo sfuggente premier: «Renzi non mi ha chiesto nessun gesto spontaneo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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