nostro inviato a Genova
Il governo alza la voce: «Ci costituiremo parte civile». E punta il dito contro Autostrade per l'Italia. Ma qualcosa non quadra, perché l'esecutivo, attraverso il ministero delle Infrastrutture, è chiamato a controllare i lavori svolti dal concessionario. Insomma, non c'è solo il tema, scivolosissimo, della revoca della concessione su cui i leader del governo gialloverde hanno precipitosamente innestato la retromarcia. No, c'è di più, come ha notato Antonio Di Pietro, che a suo tempo su quella poltrona di ministro si era accomodato, in un colloquio con il sito Fanpage.it. Il ragionamento dell'ex pm è semplicissimo: «Quando nel 2007 fu firmata la convenzione fra Anas e Autostrade per l'Italia, io ero ministro e si stabilì che Anas avrebbe dovuto controllare le opere del concessionario. Sarebbe pure stato sufficiente, ma nel 2013 è intervenuta una legge che ha rafforzato il ruolo pubblico del controllore e l'ha sottratto all'Anas, creando una struttura di vigilanza delle concessioni autostradali presso il ministero delle Infrastrutture». Insomma, se nessuno si è accorto di nulla e le ispezioni non hanno rilevato nulla di anomalo, se la caduta è arrivata improvvisa, allora il ministero dovrebbe pendersela anche con se stesso. E con la sua task force.
Difficile immaginare che il ministero possa ritagliarsi il ruolo di parte civile. Come fosse una vittima. Più facile immaginare un altro percorso, meno nobile. Per carità, in questa fase nessuno può prevedere che piega prenderà l'indagine. Ma non si può escludere che gli avvocati giochino una carta pesante nel corso del processo che sarà accesissimo, chiamando anche le Infrastrutture a rispondere di quel che è successo, magari sul piano civile. Esiste certamente un intreccio di responsabilità che deve essere sciolto. Danilo Toninelli, il titolare delle Infrastrutture, potrebbe pure cavarsela, se non altro perché è in quella posizione da poche settimane e il passato non può certo ricadere su di lui, ma resta il fatto che la struttura di vigilanza, varata fra squilli di tromba, si sia poi trovata a operare all'italiana, con mezzi e risorse limitati se non risicati. Come emerso dall'audizione in Parlamento nel 2016 del numero uno del team, Mauro Colletta. Colletta fu chiaro: spiegò che non c'erano nemmeno i soldi per le trasferte degli ispettori. Tanto che il personale, chiamato a svolgere un compito delicatissimo, doveva anticipare le spese dei viaggi. E aggiunse che il budget, una coperta troppo corta, aveva costretto i suoi tecnici a dimezzare le «ispezioni a sorpresa» fra il 2011 e il 2015. Non risulta che qualcosa sia cambiato dopo quella drammatica denuncia. Chissà.
Se non altro a livello politico questa inadeguatezza dei mezzi dovrebbe essere argomento di discussione se non di polemica. Ma non si può escludere che qualche avvocato corazzato provi a farlo entrare fra le carte del dibattimento.
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