Adesso la sinistra lo osanna ma l'aveva scaricato due volte

Nel 2001 un pezzo di Pd fece di tutto per bloccare la sua candidatura alla Camera mentre l'ala radicale ha provato a farne saltare l'elezione alla Corte costituzionale

Adesso la sinistra lo osanna ma l'aveva scaricato due volte

Un profluvio di santini e di incenso circondano Sergio Mattarella da quando è stato eletto capo dello Stato. Il nuovo presidente della Repubblica, infatti, ha le physique du rôle per piacere all'italiano medio (di centrosinistra): è cattolico, sobrio, ha la schiena dritta, ama la Costituzione, gira in Panda, abita in una foresteria e, come molti meridionali, è calcisticamente doppiofedista: tifa per il suo Palermo e simpatizza per l'Inter. Ovvio che i media ne preparino la «beatificazione» in vista dell'insediamento di domani.

Eppure la classe dirigente di centrosinistra che oggi lo esalta, fino all'altroieri non lo amava più di tanto e lo avrebbe volentieri pensionato già una decina di anni fa. Prendiamo il caso del trentino Lorenzo Dellai, fondatore con Francesco Rutelli della Margherita (il partito di Mattarella e di Renzi) e oggi capogruppo di Per l'Italia, rimasuglio della diaspora montiana. «Una candidatura eccellente, sarà un garante dell'autonomia», ha detto Dellai pensando alla sua Regione (ormai balcanizzata tra Trento e Bolzano). Ora, facciamo un passo indietro al marzo del 2001. Siamo alla vigilia delle elezioni che Silvio Berlusconi stravincerà e il centrosinistra, guidato da Francesco Rutelli, deve salvare la poltrona dei vari big al governo.

Sergio Mattarella è ministro della Difesa e big della Margherita a Palermo. Poiché nell'uninominale si sa già che non ci sarà scampo (saranno le elezioni del 61-0), bisogna decidere i posti nel proporzionale in Sicilia Occidentale. Il centrosinistra la dà vinta, per motivi di tenuta della coalizione, al mastelliano Totò Cardinale e Mattarella è costretto a «emigrare» in Trentino. Proprio Dellai, capataz del partito a Trento si indigna e comincia a raccogliere le 2.500 firme necessarie per un candidato locale, Tarcisio Grandi. I bolzanini, che detestano l'italiana Trento, raccolgono 2.500 firme per Mattarella. Il partito, cioè Rutelli e il segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti, revoca l'autorizzazione ai trentini e l'elezione di Mattarella è cosa fatta. Ma Dellai se la lega al dito.

La Procura di Bolzano avviò un'indagine e il 4 aprile 2003 diciassette esponenti margheritini di Bolzano furono rinviati a giudizio: autenticazioni false, raccolta di firme senza autorizzazione e falsificazione delle firme a favore di Mattarella. Nel frattempo, il reato fu depenalizzato e il processo si estinse per prescrizione. Oggi Dellai è contento, anche perché spera di tornare ad allearsi con il Pd nel suo territorio.

Terminata la carriera parlamentare, Mattarella, al pari di altri colleghi giuristi, divenne una riserva della Repubblica per la Corte Costituzionale. Nell'ottobre del 2011 arrivò il suo turno. Fu eletto giudice della Consulta alla quarta votazione con 572 voti, uno in più del quorum. I tentativi precedenti erano andati tutti a vuoto sia perché i dipietristi erano andati, come al solito, sull'Aventino sia perché i radicali del Pd si erano smarcati. Considerato che la maggioranza di centrodestra aveva votato più o meno compattamente per l'esponente piddino, si comprese subito che non erano solo Idv e pannelliani i «colpevoli». Nelle tre votazioni precedenti, infatti, era spuntato qualche voto a favore di Luciano Violante, sostenuto dall'ala sinistra del Pd.

Solo la moral suasion del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva invitato le Camere a trovare «soluzioni condivise», garantì l'elezione di Mattarella. Che oggi, a torto o a ragione, è in odore di santità. I vecchi rancori verso il rigido e rigoroso «onorevole Metallo» si sono sopiti.

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