Anche stavolta non abbiamo preso il treno, non siamo saliti sui metrò, abbiamo vissuto una simpatica giornata di caos. Da sessant'anni, in giornate così, noi di questo Paese incessantemente proclamiamo, aderiamo, sopportiamo, malediciamo, a seconda della parte che ci tocca nel grande teatro dell'assurdo italiano. Ne abbiamo fatto un mito nazionale, di queste giornate, una specie di marchio per l'immediata tracciatura del nostro essere, ben noto in tutto il mondo: Italia mafia e mandolino, quello indiscutibilmente, ma anche e soprattutto Italia sempre sciopero.
Tra epopee leggendarie e stagioni di stanca, l'atavico strumento di protesta sopravvive immutabile ai più radicali cambiamenti della storia. Dal monopolio Dc al compromesso storico, dal pentapartito al Caf, dal craxismo al leghismo, dal berlusconismo fino al renzismo, il calendario è immancabilmente segnato dalle crocette sindacali, come le domeniche e le feste comandate sui calendari religiosi. Gli effetti reali sono sempre gli stessi: molti disagi per chi già è vittima di una situazione pesante, vedi pendolari e pensionati, pochi fastidi per i veri bersagli della protesta, vedi governo e padronato.
L'arma è sempre più spuntata e platonica, eppure non c'è verso di inventarci un'evoluzione. La dinamica dello sciopero è ormai goffa e scontata: minaccia di proclamazione, proclamazione, corteo in centro, comizio in piazza Duomo, servizi pubblici impazziti, frange violente che sfuggono al controllo del servizio d'ordine e spadellano la solita tensione da cui tutti poi prendono le distanze. Uno strumento molto serio e molto costoso (in busta paga) si ritrova inesorabilmente impaludato nella ripetitiva banalità. È cambiata più la messa, in queste ere storiche, che la liturgia della contestazione.
Però dobbiamo riconoscerlo: ci siamo dati un gran daffare sulle definizioni, almeno su quelle. Sui sofismi restiamo i numeri uno. Nel tempo, con il passare delle generazioni, abbiamo messo assieme un campionario sconfinato, con tutte le tonalità e tutte le declinazioni, dello sciopero. Patrimonio popolare lo sciopero generale, il padre di tutti gli scioperi. Ma anche i figli sono noti. Lo sciopero territoriale, lo sciopero regionale, lo sciopero provinciale. Lo sciopero studentesco, lo sciopero di categoria, lo sciopero bianco. Lo sciopero di solidarietà, lo sciopero a singhiozzo, lo sciopero a fasce orarie. Lo sciopero politico, lo sciopero a macchia di leopardo, lo sciopero per sigle.
Sembrava di avere inventato tutto, sinceramente. Ma nessuno deve sottovalutarci: tra i nostri marchi di fabbrica c'è il mandolino, c'è la mafia, c'è lo sciopero, ma c'è prima di tutto la fantasia. Andassimo avanti mille anni, riusciremmo ogni volta a battezzare con un nome nuovo la protesta, a costo di chiamarla Giovanna. Per quest'ultimo appuntamento, che inglobava come in una grande caponata lo Sblocca Italia, il Jobs Act, la riforma della scuola, abbiamo ideato lo Sciopero Sociale. Dice tutto e dice niente, secondo la nostra indole, ma nessuno può negare che sia nuovo. Un passo avanti. Non stiamo poi a sottilizzare, se nessuno sapeva cosa diavolo fosse lo Sciopero Sociale. Tanti anni fa, diventò memorabile una gag ambientata sul treno, tra Walter Chiari e Carlo Campanini: un quarto d'ora esilarante discutendo del Sarchiapone, animale immaginario che Campanini fingeva di avere nascosto in una gabbia e che Chiari diceva di conoscere benissimo.
In fondo, così è trascorsa la nostra giornata nell'Italia dello Sciopero Sociale: cortei, slogan, scontri, paralisi, discutendo di qualcosa che nessuno ben conosceva, ma che tutti fingevano di conoscere. Lo sciopero sarchiapone.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.