Aggressione in ospedale. La relazione del carcere: "Il detenuto? Cambiato"

L'ergastolano ha ferito un anziano durante un permesso. Il ministro manda gli ispettori

Aggressione in ospedale. La relazione del carcere: "Il detenuto? Cambiato"

Il demone che riesplode all'improvviso, dopo quarant'anni di carcere in cui una adolescenza di violenza e di ferocia sembrava ormai un ricordo cancellato.

Invece quando quell'anziano in visita a una parente ha rifiutato di consegnargli il cellulare, nei sotterranei dell'ospedale San Raffaele, in Antonio Cianci è riesplosa la belva che quando aveva vent'anni aveva fatto di lui l'assassino spietato di metronotte e carabinieri. E ha colpito con la volontà di uccidere. Sabato pomeriggio l'ergastolano in permesso è tornato a colpire, e solo per caso un quinto morto non si è aggiunto al suo percorso criminale.

Ora sul percorso che ha portato Cianci a uscire dal carcere, rendendo possibile il suo nuovo delitto, indagheranno gli ispettori del ministero della Giustizia, che il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha annunciato di voler inviare al tribunale di Sorveglianza di Milano e al carcere di Bollate, dove l'uomo stava scontando la sua pena. Andrà capito come siano stilati i rapporti degli educatori carcerari, che in questi anni hanno certificato senza esitazioni il buon andamento del trattamento di rieducazione dell'ergastolano, e andrà verificato se i giudici del tribunale milanese abbiano analizzato compiutamente i rapporti provenienti dalla casa di reclusione prima di farli propri e di concedere a Cianci il permesso premio durante il quale ha aggredito il pensionato.

Ma in carcere a Bollate i vertici dell'istituto si sentono la coscienza a posto, perché da tutte le informazioni a disposizione era emersa la convinzione che il detenuto fosse ormai un uomo totalmente diverso da quello che nel 1979 era stato catturato dopo avere ucciso a sangue freddo tre militari dell'Arma che lo avevano fermato per un controllo. Secondo i testimoni dell'epoca, dopo avere assassinato i tre carabinieri Cianci si era fermato a frugare i loro corpi, alla ricerca di una refurtiva di cui impossessarsi. La stessa freddezza di cui aveva dato prova cinque anni prima, quando aveva ucciso una guardia giurata e gli aveva rubato la pistola.

Se dopo il primo delitto aveva avuto un trattamento indulgente a causa della sua giovane età (aveva appena superato la soglia della punibilità, fissata per legge a 14 anni) per il triplice omicidio del 1979 Cianci era stato condannato al massimo della pena. Ne era seguito un lungo percorso carcerario, tra diversi istituiti di pena, compiuto senza inciampi. D'altronde l'omicidio, se non aggravato da finalità mafiose o di terrorismo, non è elencato tra i reati che impediscono la concessione dei benefici carcerari. E Cianci aveva superato da un pezzo il periodo minimo di cella dopo il quale anche gli ergastolani possono chiedere i benefici della legge Gozzini.

Ma, in attesa di capire se tutti i controlli siano stati accurati, dai familiari delle vittime del dovere, per bocca della presidente Emanuela Piantadosi, parte una accorata protesta in

direzione del governo: «Quanto altro spargimento di sangue si dovrà avere prima che il ministro della Giustizia e il governo prendano coscienza di quanto sia fondamentale monitorare seriamente la recidiva in questo Paese?»

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