Altro che stop alla Fornero: pensionati solito bancomat

Salvini ripete spesso che la riforma sarà «smontata pezzo per pezzo». Ma l'esecutivo studia tagli ai vitalizi

Altro che stop alla Fornero: pensionati solito bancomat

Anche se quotidianamente nelle sue numerose dichiarazioni pubbliche il vicepremier Matteo Salvini ripete che la riforma Fornero delle pensioni sarà «smontata pezzo per pezzo», agli atti ancora c'è poco o nulla. Più che dare una nuova chance a coloro che vorrebbero ritirarsi dal lavoro, il governo gialloverde sembra piuttosto voler togliere qualcosa, anzi più di qualcosa, a chi invece è già in pensione.

Come detto, sul fronte della concretezza non si è visto ancora nulla. Forse prima della Nota di aggiornamento del Def non si saprà nulla. L'unica ipotesi di lavoro, emersa nel corso del vertice di venerdì scorso a Palazzo Chigi, riguarda «quota 100», ossia la possibilità di pensionarsi al raggiungimento di una somma 100 tra età anagrafica e contributiva con una soglia minima che dovrebbe essere fissata a 64 anni di età. Se l'Ape social dovesse restare intatto, tale innovazione non sarà penalizzante, altrimenti coloro che svolgono mansioni gravose, dovranno aspettare qualche mese in più prima di abbandonare la propria occupazione.

Poiché un simile disegno costa almeno 5 miliardi di euro a meno di non introdurre penalizzazioni o ricalcoli contributivi che farebbero scendere il costo della misura (e l'importo degli assegni), è difficile pensare che sia economicamente sostenibile a fronte di un rallentamento della crescita economica con conseguente peggioramento dello scenario macroeconomico. Il discorso su «quota 41», cioè il pensionamento automatico con il raggiungimento di 41 anni di contribuzione previdenziale, al momento parrebbe accantonato, almeno fino al 2019 .

Sulla pars destruens, invece, l'esecutivo pare molto più avanti. Nei giorni scorsi in Parlamento circolavano vari rumor sulla possibilità di un ricalcolo contributivo per tutti gli assegni dai 3mila euro lordi in su (360mila assegni circa) per finanziare tanto la riforma della Fornero quanto l'incremento delle pensioni minime. A questo proposito, qualche giorno fa il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio aveva messo sotto tiro i «privilegi» dei sindacalisti che in alcuni casi, avvantaggiandosi delle ultime retribuzioni particolarmente «gonfiate», sono riusciti a godere di assegni più che sostanziosi.

Le riforme costano, l'economia arranca e per iniziare a mantenere qualche promessa bisognerà imporre sacrifici che, talvolta, potrebbero essere sproporzionati. Ma è anche il paradosso congenito di questo governo «ircocervo» che nella componente grillina cerca un egualitarismo che vede in chi ha di più un parassita da colpire e il «produttivismo» leghista che deve quotidianamente mediare con un alleato «scomodo» per non dover ammettere di aver commesso un errore madornale nell'accoppiarsi contro natura con i Cinque stelle.

Insomma, parole, formule vuote, ma nella realtà dei fatti la questione-pensioni è rimasta totalmente inevasa, in un limbo senza che siano

stata intrapresa una direzione ben precisa. Un'ulteriore prova? Il termine «pensioni» non compariva nel comunicato sul vertice emesso dal Tesoro venerdì. Le speranze di molti potrebbero, perciò, essere tragicamente deluse.

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