Troppo centralismo, la riforma Madia è «parzialmente illegittima», per la Corte costituzionale. Lo è quando prevede che per attuarla non sia necessaria «l'intesa» con le Regioni, ma che si debba solo acquisirne il «parere». Bocciando 4 articoli della legge che riordina la pubblica amministrazione, su ricorso della Regione Veneto, la Consulta rimette in discussione almeno 3 decreti attuativi, approvati solo giovedì a Palazzo Chigi: quello più importante sulla dirigenza e quelli su partecipate e servizi pubblici locali. Ma ora potrebbe arrivare un fiume di ricorsi.
«La decisione della Consulta dimostra che l'Italia è un Paese in cui siamo bloccati», sbotta il premier Matteo Renzi. E ancora: «Poi mi dicono che non devono cambiare le regole del Titolo V: siamo circondati da una burocrazia opprimente».
La riforma voluta dal governo era già stata criticata dal Consiglio di Stato, che in particolare sui dirigenti pubblici e il Veneto contestava proprio la loro nomina dallo Stato su una rosa di nomi proposti della Regione. «Una sentenza storica - festeggia il governatore veneto Luca Zaia - . Siamo stati l'unica Regione d'Italia a portare avanti le nostre convinzioni. Il centralismo sanitario governativo ha ricevuto un duro colpo».
Per l'Alta corte, dunque, le direttive unitarie così dettate ledono l'autonomia delle Regioni. Infatti, non va d'accordo con la Costituzione la parte della legge che «prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anzichè previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni». Per la Consulta, quando c'è una concorrenza di competenza su materie statali e regionali, «è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali)». Vuol dire che la legge delega è da rifare (i tempi sono stretti), c'è il no ai dirigenti nominati dallo Stato e sono illegittimi gli articoli su società partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego. Una débâcle.
«Che fa ora il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella? Firma un decreto legislativo con una legge delega dichiarata incostituzionale?», chiede Renato Brunetta, capogruppo di Fi alla Camera. E l'azzurro Maurizio Gasparri prevede: «Dopo quella del Veneto ci sarà una pioggia di impugnazioni per fermare giustamente i deliri di onnipotenza di questo governo, e il caos sarà totale». Per «risparmiare al Paese un ulteriore, inevitabile contenzioso», il senatore Gaetano Quagliariello si augura che «i decreti legislativi già emanati siano rivisti alla luce della sentenza della Consulta». M5S attacca: «Il governo non sa scrivere le leggi e vuole cambiare la Costituzione». Critica sulla sentenza la Pd Linda Lanzillotta: «Impone l'intesa con le Regioni sulla riduzione delle società per azioni e la dirigenza: così il cambiamento non si farà mai».
La bocciatura arriva mentre Cgil, Cisl e Uil vengono convocati per il 30 novembre dal ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, a Palazzo Vidoni.
Mercoledì Cida, Confedir, Confsal e Cosmed, alla conferenza stampa organizzata unitariamente al Cnel, hanno criticato la riforma, sostenendo che «al di là delle enunciazioni di principio, crea forme di precarizzazione allarmanti per i dirigenti di carriera e favorisce il rapporto collusivo fra politica e amministrazione».
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