Arcelor Mittal straccia il contratto per l'acquisto dell'Ilva. Entro 30 giorni la più grande acciaieria d'Italia si prepara a tornare ai commissari e allo Stato in una situazione disastrosa: oltre 10mila dipendenti a rischio e un piano industriale e ambientale azzerato. Il tutto, in un contesto di mercato ancor più difficile di una anno fa quando la vendita andò in porto dopo una trattativa infinita. Un danno, con beffa, perché secondo Arcelor Mittal il passo indietro sarebbe del tutto legittimo: si tratta di «un recesso giustificato e senza penale», spiegano. Guardando tra le pieghe del contratto d'acquisto, Arcelor sostiene, infatti, che nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l'attuazione del piano industriale, la società ha il diritto contrattuale di recedere dallo stesso. Il riferimento è al provvedimento con cui, dal 3 novembre 2019, «il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso». «In aggiunta - si legge nel comunicato dell'azienda - i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 che renderebbero impossibile (causa spegnimento) attuare il piano industriale, gestire lo stabilimento di Taranto e, in generale, eseguire il contratto».
Secondo i sindacati si tratta di una vera e propria «bomba sociale» (a marzo 2018 i dipendenti erano 14.500), che esplode tra le mani di Luigi Di Maio, ex ministro dello Sviluppo, e del suo successore (grillino) Stefano Patuanelli. Ma non solo. Ad essere coinvolti sono i commissari e i sindacati visto che i diritti di proprietà dell'Ilva sono ancora in capo all'amministrazione straordinaria, dato che il contratto attuale è di affitto e si sarebbe trasformato in una cessione effettiva di proprietà soltanto il 1 maggio 2021; i secondi sono invece coinvolti perché gli oltre 10mila dipendenti dell'Ilva hanno in questo momento un contratto a tempo determinato con Arcelor Mittal, che sarebbe stato convertito in un contratto a tempo indeterminato soltanto con l'avvenuta acquisizione.
Una mina sociale ed economica. Se il dietrofront fosse legalmente legittimo - il governo ieri ha sostenuto il contrario e sta cercando un appiglio legale per bloccare l'uscita di scena chi metterà i miliardi necessari a escludere una chiusura? Con l'acquisto, un anno fa, ArcelorMittal si era impegnata a realizzare investimenti ambientali per 1,1 miliardi, produttivi per 1,2 miliardi e a pagare la ex Ilva, una volta terminato il periodo di affitto (18 mesi a partire dal primo novembre 2018), 1,8 miliardi (detratti i canoni già versati). A Taranto sono impiegate oltre 8mila persone (10.700 il totale) e in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane ci sono 1.276 lavoratori. In attesa di completare gli interventi di risanamento prescritti dall'Aia, ArcelorMittal è stata autorizzata a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio, ma la stima per quest'anno è di 4,5 milioni. L'azienda perde 2 milioni di euro al giorno.
E nel 2019 la decrescita dell'Ilva ha causato l'uscita dell'Italia dalla top ten dei produttori mondiali di acciaio. L'Ilva è più che mai una questione nazionale: negli anni della crisi Ilva, fra il 2013 e il 2019 è stato cancellato Pil per 23 miliardi, l'equivalente cumulato di 1,35 punti percentuali di ricchezza italiana.
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