Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan

La Camera vota risoluzioni per riconoscere il genocidio e imporre sanzioni per la Siria

Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan

New York. A due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca, la Camera Usa assesta un doppio schiaffo bipartisan ad Ankara, approvando a larghissima maggioranza una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un'altra che chiede al presidente americano Donald Trump di imporre sanzioni alla Turchia e ai suoi dirigenti per l'offensiva nella Siria settentrionale. La mossa ha mandato su tutte le furie Erdogan: «Questa accusa è il più grande insulto alla nostra nazione», ha detto del documento che riconosce formalmente il genocidio armeno per mano dell'impero ottomano durante la prima guerra mondiale. «La risoluzione non ha alcun valore», ha precisato, mentre l'ambasciatore statunitense ad Ankara David Satterfield veniva convocato al ministero degli Esteri per vedersi contestare una misura «priva di qualsiasi base storica o legale».

Il premier armeno Nikol Pashinian, invece, lo ha definito un voto «storico», e ha ringraziato per quello che ritiene un «passo audace verso la verità e la giustizia storica che conforterà milioni di discendenti dei sopravvissuti al genocidio». «In questo modo onoriamo la memoria delle vittime e diciamo mai più», ha scritto su Twitter l'ex vice presidente Joe Biden, candidato alle primarie democratiche del 2020. La risoluzione, non vincolante, invita a «commemorare il genocidio armeno» e a «rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione», nonché a educare sulla vicenda. E segue quella di una trentina di paesi, tra cui l'Italia, e di 49 su 50 degli stati Usa, dove vivono due milioni di americani di origine armena. Sulle due risoluzioni ora si dovranno esprimere prima il Senato e poi lo stesso Trump, che con l'annuncio della tregua in Siria ha revocato le sanzioni ad Ankara.

La sfida alla Turchia da parte della Camera Usa arriva sullo sfondo della battaglia per l'impeachment, alla vigilia del voto di oggi dei deputati per formalizzare le procedure della messa in stato di accusa per la prossima fase dell'indagine. Per i dem la mossa «assicurerà trasparenza e fornirà una strada chiara per andare avanti». Il documento, che «stabilisce le procedure per le udienze», richiede in primis audizioni pubbliche, e la speaker Nancy Pelosi in una lettera ai democratici ha scritto: «Stiamo prendendo questa misura per eliminare ogni dubbio sul fatto che l'amministrazione Trump possa trattenere i documenti, bloccare la testimonianza di testimoni, ignorare mandati puntualmente autorizzati o continuare a ostruire la Camera». Nel frattempo il colonnello Alexander Vindman, il massimo esperto di Ucraina nel National Security Council, ha testimoniato ieri alla Camera affermando che la trascrizione della telefonata in cui il tycoon chiese al presidente ucraino Zelensky di indagare i Biden ha omesso parole e frasi cruciali. Secondo quanto riferito dal New York Times, che ha citato tre fonti informate, Vindman ha riferito come le omissioni comprendessero l'affermazione che c'era una registrazione dell'ex numero due di Barack Obama mentre discuteva della corruzione ucraina.

Oltre ad una menzione esplicita da parte di Zelensky relativa a Burisma, la società del gas nel cui board sedeva il figlio di Biden. L'ufficiale ha sostenuto che provò a cambiare la trascrizione del colloquio preparata dallo staff della Casa Bianca, ma che mentre alcune sue correzioni ebbero successo le altre due non furono fatte.

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