U na decisione «sbagliata» voluta dalla «lobby razzista degli armeni» e che la Turchia «non potrà mai accettare». Così il neopremier turco Binali Yildirim ha reagito all'approvazione da parte del Bundestag di una risoluzione che definisce «un genocidio» i massacri di armeni e di altre minoranze cristiane per mano dell'Impero ottomano all'inizio del secolo scorso. A nulla sono dunque valse le pressioni che il governo turco aveva esercitato nei giorni precedenti affinché il voto venisse evitato o il testo della mozione edulcorato. In campo era sceso lo stesso presidente Erdogan con una telefonata alla cancelliera Merkel. Con il suo consueto stile risoluto, il sultano aveva minacciato conseguenze sul piano «diplomatico, economico, commerciale e nei legami militari» fra Turchia e Germania, paesi alleati nella Nato. Di fronte al voto quasi unanime della Camera bassa tedesca, Ankara ha ritirato il proprio ambasciatore accreditato a Berlino «per consultazioni». La mossa non ha colto i tedeschi di sorpresa: la Turchia aveva reagito nello stesso modo con la Francia (nel 2011) e con l'Austria (nel 2015), i cui Parlamenti si erano macchiati di quella che agli occhi di Erdogan è una vera colpa.
Da parte sua Angela Merkel si è limitata a rendere noto che non avrebbe partecipato al dibattito per impegni precedenti. Di certo il voto del Bundestag non avrebbe potuto darle più fastidio. Già alcune settimane fa si era attirata un mare di critiche per aver dato il via a un procedimento penale intentato da Erdogan contro un comico tedesco, Jan Böhmermann, che lo aveva insultato sulla tv tedesca. La cancelliera ha tuttavia legato le proprie sorti politiche alla buona gestione dell'emergenza-profughi, e dopo aver convinto tutta l'Ue ad appaltare la sicurezza nel Mar Egeo alle motovedette della marina turca, si è legata a doppio filo a Erdogan. Proprio mentre il sultano sta schiacciando i suoi oppositori in patria con il pugno di ferro.
Merkel adesso teme che Erdogan rinneghi o cerchi di modificare l'accordo fra Ankara e i 28. «Questa decisione influenza gravemente le relazioni bilaterali turco-tedesche», ha tuonato il leader turco dal Kenya». Neppure il ministro degli Esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, esce bene dalla vicenda. Rimasto assieme al leader dell'Spd, Sigmar Gabriel, ben lontano dall'aula, giorni fa aveva definito la risoluzione «maldestra». Nel 2015 aveva preso le distanze dal presidente federale Joachim Gauck, il primo a chiamare «genocidio» il massacro di 1,5 milioni di armeni avvenuto fra il 1915 e il 1917. Imbarazzati, Merkel e Steinmeier hanno ribadito che il voto del Bundestag non deve ledere l'amicizia «strategica» fra Berlino ad Ankara. Molto sollevato è invece il presidente armeno Serzh Sargsyan che aveva invitato i deputati tedeschi a non farsi intimidire da Ankara.
Il vero vincitore del voto è tuttavia il leader dei Verdi tedeschi Cem Özdemir. Nato nel 1965 in Baden-Württemberg da genitori turchi, ha compattato tutto il Bundestag sul testo da lui preparato che non si limita a riconoscere le colpe turche, ma si fa anche carico delle responsabilità tedesche. Nel 1915 gli imperi centrali erano alleati a quelli ottomano e «101 anni dopo il genocidio è tempo di riconoscere i propri torti», ha affermato Özdemir. «Sapevamo esattamente cosa stesse succedendo agli armeni.
Da Erdogan non ci aspettiamo nulla di buono ma invitiamo i nostri amici turchi a riconsiderare la loro storia». Quanto infine alle minacce ricevute: «Non andrò in galera per le mie idee né perderò il mio lavoro: qua non siamo in Turchia, qua c'è la democrazia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.