Si è concluso, lo scorso 17 ottobre, il 48° Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN) che, a Napoli, ha raccolto oltre 1500 neurologi provenienti da tutta Italia. Oltre a temi di aggiornamento professionale, sono state evidenziate le urgenze attorno alle quali gli esperti hanno dibattuto e si sono confrontati. Le malattie neurologiche e neurodegenerative, come demenza senile, Alzheimer, ma anche la sclerosi multipla, sono in continuo aumento a causa dell'invecchiamento della popolazione. Quali sono i progressi raggiunti dalla scienza per poter diagnosticare tempestivamente queste malattie? Secondo la nuova normativa, come si delinea la responsabilità medica, soprattutto rispetto alle manifestazioni cliniche denunciate dai pazienti? E quali i modelli assistenziali per garantire la tutela del paziente? Domande alle quali risponde il prof. Leandro Provinciali, Presidente uscente della SIN, nonché Direttore della Clinica Neurologica e del Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona, sottolineando quanto emerso durante questa importante occasione di confronto scientifico ad alto livello. «Il lavoro del neurologo è condizionato dalla scarsa appropriatezza dell'approccio diagnostico-clinico da parte delle strutture di Pronto Soccorso, Medicina d'urgenza e Medicina Generale, gravate da richieste eccessive rispetto alla possibilità di erogare cure specifiche in ogni ambito specialistico. Quante volte ci si rivolge al proprio medico di base o al Pronto Soccorso dichiarando una sintomatologia che viene affrontata in relazione ai bisogni urgenti piuttosto che alla condizione generale di malattia, in modo non pertinente e superficiale? I pazienti hanno diritto a risposte più globali e specifiche perché non basta risolvere il disturbo contingente: bisogna curare la malattia». E per chi, invece, convive con una patologia neurodegenerativa ormai cronica e in fase avanzata? «Si tratta di malattie che non si possono guarire, ma solo gestire attraverso una assistenza dedicata ai sintomi, una terapia specifica e frequentemente una «neuropalliazione», cioè l'approccio ai sintomi che compromettono la qualità di vita senza influenzare il decorso di malattia. Non si abbandonano i pazienti perché cronici: bisogna rintracciare gli aspetti specifici della malattia, secondo una valenza disciplinare, ma anche riservare ad ognuno di loro cure specifiche, facendo emergere anche l'aspetto umano». Se il malato si sente protetto assumendo un certo farmaco, cambiare terapia potrebbe essere controproducente, non solo psicologicamente, ma anche fisicamente. I neurologi chiedono a questo proposito più autonomia prescrittiva per evitare che la sostituzione di alcuni farmaci per differenze contenute nel loro costo porti a spostare la richiesta verso approcci più onerosi. Il rischio è di creare confusione e senso di precarietà in un paziente che si confronta quotidianamente con una malattia inguaribile. «Ad esempio -spiega il prof.
Provinciali-, i soggetti affetti dalla sclerosi multipla, malattia che solo in Italia ha colpito circa 114mila persone, provocando problemi fisici, cognitivi ed emotivi, per anni hanno seguito la terapia immunomodulante con un trattamento individuale che, in alcuni casi, ha raggiunto la durata di 20 anni. Il mantenimento di una terapia che si è rivelata efficace rappresenta una garanzia per molti pazienti».
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