Arrestato Mantovani: corruzione Ma non c'è un euro di mazzette

Manette all'alba per il vicepresidente della Lombardia. I pm non gli contestano tangenti Indagine sul doppio ruolo di politico e imprenditore nel mondo dell'assistenza sanitaria

Arrestato Mantovani: corruzione Ma non c'è un euro di mazzette

Concussione, corruzione, abuso d'ufficio, turbativa d'asta: c'è quasi l'intero campionario dei reati che il codice penale riserva ai politici nelle accuse che ieri mattina portano in carcere Mario Mantovani, vicepresidente della Regione Lombardia. Ma, a differenza di quanto accade di solito in queste circostanze, a Mantovani non viene contestato un euro di tangenti. Nelle quattro cariche pubbliche che è accusato di avere utilizzato a fini personali (senatore, sottosegretario, assessore alla sanità e sindaco del paese di Arconate) Mantovani avrebbe imposto i suoi voleri per trarne profitti non direttamente quantificabili in moneta, ma altrettanto gravi per il codice penale. E nell'ordine di cattura si tratteggia nei dettagli il vero scenario dell'inchiesta, la commistione di ruoli tra il Mantovani politico e il Mantovani imprenditore, assessore alla sanità e alla testa di un impero del business dell'assistenza; e se ne disegnano le manovre con abbondanza di dettagli e intercettazioni, che coinvolgono lui, sua moglie Marinella, la sua famiglia, il suo staff, quello che crudamente il giudice Stefania Pepe definisce a pagina 156 dell'ordine di arresto «il clan Mantovani».

Lo arrestano all'alba gli uomini della Guardia di finanza, insieme al suo collaboratore più stretto e fidato, Giacomo Di Capua, e a un funzionario del Provveditorato per le opere pubbliche della Lombardia, Angelo Bianchi. Intorno a Bianchi, ingegnere, legato a doppio filo a Mantovani («sono sull'attenti!», gli risponde quando lo chiama) ruota l'accusa di concussione. Benché Bianchi fosse sotto processo a Sondrio per corruzione, Mantovani (le intercettazioni lo dimostrano senza margini di incertezze) interviene perché venga tenuto al suo posto. «Io la disturbavo perché so che lei deve prendere qualche iniziativa per l'ingegnere che lei conosce - dice Mantovani il 22 gennaio 2014 a un dirigente del ministero per le Infrastrutture - l'importante è lasciarlo lì perché se no noi siamo proprio sconcertati dal fatto che li si fermerebbe buona parte di quel grande lavoro che abbiamo fatto... lui aveva una noia, si ricorda?». Le pressioni di Mantovani sortiscono il loro effetto, e il provveditore della Lombardia, Pietro Baratono, rimette Bianchi al suo posto. Ma intanto un esposto di un altro dirigente del provveditorato, Alfio Leonardi, aveva fatto scattare l'indagine della Procura. «Il Bianchi è notoriamente un tecnico legato all'entourage politico del senatore Mantovani» dichiara Leonardi al pm. Mentre il suo capo, Baratono, testimonia di «raccomandazioni» e di «pressioni» ricevute da Mantovani nel corso di due incontri. Ma ieri, parlando col Giornale , Baratono ridimensiona, e dice di avere ricevuto «consigli», «non direi pressioni».

Poi c'è l'altro capo d'accusa, la corruzione, che chiama in causa i rapporti di Mantovani con un altro uomo di sua fiducia, l'architetto Gianluca Parotti. A Parotti, il vice-governatore avrebbe commissionato, senza mai pagarli o pagandoli solo in parte, lavori di ogni genere: dalla sistemazione di una casa della sorella, alle consulenze per trovare casa al figlio, fino ai lavori di sistemazione della Villa Clerici di Rovellasca, una splendida residenza di cui Mantovani è proprietario attraverso una società. Lavori progettati e realizzati senza badare a spese: per la casa di Mantovani ad Arconate viene ideata anche una «libreria in legno intarsiato nella quale incastonare la tv» utilizzando «una biglia di noce di 130 anni».

Per sdebitarsi con Parotti, Mantovani sarebbe intervenuto per fargli avere incarichi e appalti: a volte riuscendoci, a volte no; e in qualche caso Parotti non partecipò nemmeno alla gara. Ma per la Procura il reato c'è ugualmente.

Come il reato, anche se nemmeno qui viaggiano tangenti, c'è secondo il giudice nel capo d'accusa per turbativa d'asta su un capitolo di spesa delicato, l'appalto per il trasporto dei nefropatici dializzati, vinto da una cordata di «croci» e rimesso in ballo da Mantovani per aiutare una «croce» della sua zona. Per questa accusa viene indagato anche l'assessore regionale all'Economia, Massimo Garavaglia.

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