Era, quasi, ovvio che un governo innaturale e forzato producesse una crisi insolita e bizzarra come questa. È, quasi, ovvio anche che un Movimento indefinibile, in cui militano anche tanti ex comunisti (vedi Fico e Di Battista), lasciato dal suo subdolo amante verdognolo, si faccia sedurre dallo spasimante rosso, smanioso di tornare al potere con un Renzi sornione che tenta goffamente di riprendersi la scena.
Risulta meno ovvio adesso, anzi è addirittura ai confini della realtà, che lo spasimante rosso, cacciato a pedate da Palazzo Chigi nel 2016, crivellato dai colpi di decine di inchieste giudiziarie, affossato da una sequela di brucianti sconfitte elettorali che lo hanno portato a perdere oltre 6 milioni di voti dal 2014 ad oggi, rischi perfino di rientrare dalla finestra. E tutto questo grazie al «capolavoro» agostano almanaccato da Salvini.
Si sono scambiati insulti irripetibili per dieci lunghi anni, rimpallati colpe e responsabilità, giocando a scemo e più scemo, in una eterna lotta a suon di querele. Ma adesso che in palio ci sono le poltrone, non si farebbero scrupoli a mettersi insieme per governare almeno fino al 2022, cioè all'elezione del presidente della Repubblica. D'altronde questa è l'Italia. «Come si cambia per non morire», cantava Fiorella Mannoia.
Eppure è lo stesso Pd dello scandalo sanità in Umbria che ha fatto saltare la testa del partito, e indagare la governatrice Catiuscia Marini, con la farsa delle dimissioni presentate, ritirate e poi ripresentante.
Lo stesso Pd che ha subito una sconfitta storica in Basilicata, Regione che governava da 25 anni a seguito dell'arresto del governatore Marcello Pittella per una storiaccia di concorsi truccati, raccomandazioni e sanità usata per arricchire notabili locali del partito nonché loro amici e parenti.
È sempre quel Pd che in Puglia ha visto finire sotto inchiesta Michele Emiliano per una vicenda legata al finanziamento delle primarie del Pd, quando il governatore sfidava Renzi e Orlando. È il Pd che in Calabria agonizza schiacciato sotto il peso dell'indagine al presidente Mario Oliverio su presunte irregolarità in due appalti gestiti dalla Regione, e dove in Campania il capo della segreteria del governatore Pd Vincenzo De Luca, Franco Alfieri, ex sindaco di Agropoli, viene indagato per voto di scambio politico mafioso.
Senza contare lo tsunami che ha investito la magistratura con le intercettazioni tra Luca Palamara, Cosimo Ferri, Luca Lotti e i membri del Csm. Per arrivare fino al sindaco Pd di Bibbiano, Andrea Carletti, accusato di falso e abuso d'ufficio per la schifosa storia degli abusi sui minori. L'elenco degli indagati dem è sempre più lungo, circa 130, per reati gravi e meno. Ma cosa importa. Meglio loro che il traditore verdognolo.
Il Pd ha perso tutte le ultime sei tornate elettorali: alle recenti Amministrative lascia 40 Comuni, tra i quali roccaforti come Ferrara, Forlì, Biella, Siena, Pisa e Massa. Battuto anche nelle Regionali in Sardegna, Molise, Abruzzo, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e nelle Province di Bolzano e Trento. Perso il 28,8% dei voti in cinque anni (-2,486 milioni di consensi), il 49,1% (-5,932 milioni) in dieci. I dem hanno perso alle recenti Europee circa 121mila voti rispetto alle Politiche del 4 marzo 2018.
Per non parlare del confronto con le Europee 2014: il Pd ottenne addirittura 6 milioni e 28mila voti in più rispetto al 26 maggio 2019.E questo sarebbe il partito e i dirigenti che si meriterebbero di tornare a governare il Paese. Qui sì che ci sarebbe da invocare il Sacro cuore di Maria.
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