Un reato che non poteva esistere può tenere un uomo in carcere? È giusto che Marcello Dell'Utri resti in galera - dove verrà riportato appena le sue condizioni di salute lo consentiranno - anche se la giustizia europea dice che al tempo in cui lo avrebbe commesso il reato di concorso esterno non era previsto da nessuna legge? Per Beniamino Migliucci, il presidente dell'Unione delle camere penali italiane, non ci sono dubbi: «Bisognerebbe ampliare le maglie per la rivisitazione del giudicato». Ovvero, anche una sentenza definitiva deve essere rivista se i suoi presupposti si sgretolano.
Nel caso Contrada, la Corte europea dei diritti dell'Uomo ha stabilito che la condanna fu illegittima. Perché non si riapre il caso Dell'Utri, condannato per lo stesso reato?
«Perché esiste ancora un velo autoritario, che solo alcune decisioni recenti della Cassazione hanno iniziato a mettere in discussione, per cui le sentenze definitive non si toccano. Io credo che questo velo vada sollevato».
Il caso Dell'Utri tra breve tornerà all'esame della Cassazione. Se il ricorso venisse respinto, che strada rimarrebbe ai difensori?
«Solo quella del ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo».
Che però ha tempi biblici, per dare ragione a Contrada impiegarono oltre sette anni. Dell'Utri rischia di vedersi dare ragione quando avrà già espiato la pena.
«Non sempre i tempi sono così lunghi. Ma il vero problema è un altro, ovvero la rapidità con cui la giustizia italiana si adegua alle indicazioni della giustizia comunitaria. Che è una rapidità ondivaga: a volte i nostri giudici si adeguano immediatamente, a volte ci mettono più tempo, a volte non si adeguano affatto».
Si adeguano quando gli pare a loro?
«Faccio un esempio: la famosa sentenza Taricco, con cui la Corte di giustizia europea ha ritenuto eccessivi i tempi di prescrizione per alcuni reati. In quel caso i tribunali di tutta Italia si sono allineati subito, dando alla sentenza europea valore di legge. Invece per adeguarsi all'indirizzo per cui i giudici d'appello devono riascoltare i testimoni d accusa si sono impiegati anni. In altri casi, come la sentenza Contrada, si continua come se niente fosse».
L'ex pm Antonio Ingroia diceva che Contrada sarebbe stato condannato comunque, magari per favoreggiamento.
«Ma ho letto che recentemente è diventato più garantista... A parte che tra favoreggiamento e concorso esterno c'è una bella differenza di pena, il vero problema che solleva la sentenza di Strasburgo è quello della giurisprudenza creativa in atto nel nostro Paese. L'Italia non è un Paese di common law, dove sono le sentenze a creare il quadro normativo. Da noi le leggi le fa il Parlamento, e ai magistrati tocca soltanto interpretarle e applicarle. Invece con la scusa del vuoto normativo la giurisprudenza creativa ha prodotto reati che il legislatore non aveva mai neanche sognato. E se un comportamento non è sanzionato, non vuol dire che il legislatore si è sbagliato o era distratto, e quindi c'è un vuoto che va colmato a tutti i costi. Magari, semplicemente, il legislatore pensa che quel comportamento non vada punito, o vada punito con un'altra norma già esistente. Non può essere il giudice a cambiare le carte in tavola. Un cittadino ha il diritto di alzarsi la mattina sapendo quali sono le condotte lecite e quelle proibite, senza doversi preoccupare dei mutevoli andamenti della giurisprudenza».
Ad aggravare la situazione, ci sono anche le condizioni di salute di Dell'Utri.
«La stessa sentenza
della Corte europea che diede ragione a Contrada sul concorso esterno, condannò l'Italia anche per avere tenuto in carcere una persona incompatibile con la detenzione. Anche quel pronunciamento dovrebbe farci riflettere».
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