"Attacchi da guerra, sono terroristi"

Il pm anti antagonisti: «Attentato al cantiere e sulla linea, schema classico»

"Attacchi da guerra, sono terroristi"

«La storia si ripete: sei anni fa lo schema fu esattamente lo stesso, l'attacco al cantiere di Chiomonte doppiato dall'attentato alla linea dell'alta velocità Milano-Napoli, quella volta a Bologna. Direi che è veramente difficile non vederci una strategia comune».

Andrea Padalino, oggi pm ad Alessandria, è il magistrato che per anni, quando era in servizio alla Procura della Repubblica di Torino, ha indagato sulle imprese della galassia antagonista e soprattutto sugli attacchi ai cantieri in Val Susa. Per le sue inchieste è diventato la «bestia nera» dei No Tav, insultato e minacciato in ogni modo, ed è costretto ancora oggi a vivere sotto scorta.

Lei scelse di contestare agli imputati la finalità di terrorismo delle loro imprese, e per questo venne pesantemente attaccato. Le sentenze fecero poi cadere quell'accusa. I fatti di questi giorni dicono che aveva ragione lei?

«Io rimango assolutamente convinto della linea che seguimmo allora, d'intesa con il procuratore Giancarlo Caselli. È una linea che parte da un dato di fatto: il cantiere della Tav è considerato dalla legge un luogo strategico di interesse nazionale, che viene fatto oggetto da attacchi di guerra. Come si fa a non considerarlo una forma di terrorismo?».

L'espressione «attacchi di guerra» suona un po' forte.

«Vada a vedere i cantieri oltre il confine francese. Sono protetti da una rete da pollaio, poco più che simbolica. Qui invece per poter proseguire il lavoro si è dovuta installare una struttura di difesa di tipo israeliano, e ciò nonostante gli attacchi continuano. Sono attacchi a basi di molotov e di esplosivi che solo per caso non hanno avuto conseguenze letali, quando i razzi raggiunsero la galleria gli operai che vi stavano lavorando hanno rischiato la vita. Sono atti di guerra in piena regola. Io credo che se i processi che abbiamo istruito si fossero conclusi diversamente, riconoscendo l'aggravante terroristica e inasprendo di conseguenza le pene, oggi non saremmo qui a parlare di nuovo di questi attacchi».

Quanto c'è di spontaneo e quanto di organizzato?

«Di spontaneo c'è veramente poco, noi avemmo la fortuna di intercettare, su un telefono che era sotto controllo per motivi di droga, le comunicazioni durante gli scontri: emergevano azioni di guerra condotte da gruppi coordinati che si muovono allo stesso modo e colpivano la parte più debole, cioè la galleria».

Possibile che non si riesca a difendere militarmente il cantiere?

«Io sono stato a Chiomonte durante un attacco, i luoghi sono impervi, scoscesi, chi attacca da sopra ha gioco facile su chi sta sotto. Ma Chiomonte prima o poi verrà ultimato e lo scontro si sposterà altrove, si spera in zone più difendibili».

Esistono due livelli del movimento No Tav, uno pubblico e uno occulto?

«C'è una fascia spontanea, dove chi vuole buttarsi si butta, e che riceve un sacco di appoggi pubblici. Questa fascia viene usata come copertura dai violenti, che utilizzano strumenti classici di controllo del territorio, cioè i metodi della mafia. In questi anni gli antagonisti hanno identificato chi ha osato lavorare nei cantieri della Tav nonostante il loro veto, hanno fatto gli attentati alle imprese della Val Susa accusate di tradimento, sono andati a minacciare a casa gli operai. É una forma di controllo del territorio che ultimamente si è persa ma che potrebbe ritornare».

Non bisogna abbassare la guardia, intende dire?

«Secondo me no ma non tutti sono d'accordo. Proprio oggi ho saputo che mi hanno ridotto il livello di tutela».

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