La resa del Monte dei Paschi all'ingresso dello Stato rischia di avere un effetto domino sull'intero sistema bancario. E in particolare su quegli istituti ancora in mezzo al guado come le ex popolari venete, Carige e le piccole casse di risparmio del Centro Italia, come la San Miniato o la Rimini. Tutte rimaste a corto di patrimonio e alcune di esse anche di liquidità. Come l'«anno orribile» del credito, il 2016, era cominciato pagando il conto del maldestro salvataggio di Etruria&c da parte del governo Renzi, il 2017 potrebbe iniziare con un paracadute pubblico a fare ombra sulla contendibilità delle banche italiane. Il caso senese ci dimostra, infatti, che per il credito tricolore non c'è domanda innescando una crisi di fiducia, ovvero di interesse, destinata a durare a lungo.
Chi accuserà di più il colpo? Guardiamo a Nordest: la Popolare di Vicenza e Veneto Banca entro il 5 gennaio riceveranno dal fondo Atlante altri 938 milioni «in conto futuro aumento di capitale» (310 a Vicenza e 628 a Montebelluna). Il conto da maggio di quest'anno, sale dunque a 3,5 miliardi versati dal fondo nelle casse delle due banche venete per tenerle in piedi. I 938 milioni erano gli ultimi rimasti nel fondo creato come «soluzione di mercato» per evitare il bail in del credito popolare veneto, dopo gli aumenti di capitale versati a primavera post Ipo (i collocamenti in Borsa) andate deserte e dopo lo stanziamento in Atlante 2 per la gestione delle sofferenze del Monte.
Le due banche sono al limite dell'asticella segnata dalla Bce, che chiede entro marzo 2017 un coefficiente patrimoniale al 10,25 per cento. O Atlante metterà nuova liquidità in caso di bisogno o serviranno altri investitori che scommettano sul piano di fusione annunciato entro gennaio dal neo amministratore delegato della Vicenza, Fabrizio Viola. Ovvero l'ex ad del Monte dei Paschi. Oppure interverrà lo Stato, seguendo lo stesso copione senese. Ovvero con una stangata per gli obbligazionisti subordinati. Più complesso il caso Carige: prima di fare entrare il Tesoro, in caso di bisogno, la famiglia Malacalza vorrà avere precise garanzie in termini di modalità dell'investimento e permanenza nella banca. Si vedrà con il nuovo piano industriale, che proprio nei giorni scorsi la Bce ha chiesto di avere entro fine febbraio, concedendo nei fatti un mese in più rispetto alla scadenza precedente di fine gennaio.
Gli esperti di AdviseOnly hanno stimato che l'impatto di un meteorite bancario di medie dimensioni come Monte sul sistema creditizio dell'Eurozona è del 45%, in media. Significa che se il Monte fa default, la probabilità che un'altra banca europea sia trascinata nel baratro è (almeno) pari al 45 per cento. La vicenda Mps avrà anche una ricaduta sul mercato delle sofferenze. Ovvero sui crediti deteriorati che le banche italiane devono smaltire. Secondo gli analisti di Bloomberg, l'ammanco di capitale, se si considerano i potenziali accantonamenti per coprire le svalutazioni legate alla cessione dei crediti, ammonterebbe a ben 52 miliardi, due volte e mezzo la cifra messa sul piatto dal governo. La stima include gli 8 miliardi che Unicredit dovrà rettificare a bilancio prima di vendere il suo pacchetto di 18 miliardi di sofferenze, come spiegato nel piano che prevede anche l'aumento da 13 miliardi in rampa di lancio fra febbraio e marzo.
Nel frattempo, il conto già pagato dal sistema bancario nel 2016 per ricapitalizzare le quattro banche (Etruria, Marche, CariChieti e CariFe), per consentire al fondo Atlante di sottoscrivere i
due aumenti di capitale in Veneto e per il fondo volontario è di circa 10 miliardi. Salatissimo, considerando che il totale degli utili netti delle prime 12 banche per il primo semestre 2016 è stato solo di 1,1 miliardi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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