Tutti contro tutti, il M5s è diventato un flipper impazzito. L'impressione, il giorno dopo l'apertura ufficiale della trattativa con il Pd, è che ognuno stia giocando la propria partita personale. Davide Casaleggio, Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte, Roberto Fico, Alessandro Di Battista. La sentenza fulminante, che spiega alla perfezione, con la saggezza degli antichi romani, lo smarrimento del gruppo dirigente arriva da un parlamentare «esperto»: «Qua dentro ogni testa è un tribunale». Quot capita tot sentetiae, tante teste tanti pareri. Niente di più lontano dall'immagine della testuggine romana evocata da Di Maio nell'autunno scorso per descrivere la presunta compattezza del suo Movimento. Tutto anni luce distante dagli spin fatti filtrare dalla Comunicazione sui Cinque Stelle «tutti uniti intorno al capo politico». Nel gioco di accuse e veti incrociati le correnti del fu monolite grillino hanno cominciato di nuovo a spararsi addosso.
Ci sono gli uomini vicini al presidente della Camera Roberto Fico che insinuano che Di Maio sia ormai deciso a far saltare il banco con i dem, attratto dalle sirene della Lega e dal sogno di Palazzo Chigi. Questi parlamentari hanno già fatto arrivare messaggi minacciosi allo stato maggiore: «Se torniamo con Salvini non è escluso che più di qualcuno possa andare via». E se così andasse, l'ipotetica nuova maggioranza gialloverde non disporrebbe dei numeri per governare. Ci sono i big convinti a misurarsi con il voto che accusano i gruppi parlamentari di mirare soltanto a conservare la poltrona. E Grillo, il Garante, che spinge per un Conte-bis e, secondo un retroscena della Stampa, vorrebbe liquefare il M5s per trasformarlo in un contenitore progressista e ambientalista ideologicamente collocato a sinistra.
Idea, questa, che indispettisce Casaleggio, restìo a cambiare i connotati di una forza politica immaginata trasversale dal padre Gianroberto.
Il presidente dell'Associazione Rousseau, in queste ore, è tirato per la giacchetta. Dai parlamentari favorevoli all'accordo con il Pd che invocano una sua discesa in campo nella trattativa. Da chi vuole far saltare il banco, che invece ha chiesto di mettere al voto sulla piattaforma Rousseau l'accordo con il centrosinistra. «La base direbbe mai con il Pd, è una richiesta strumentale», dicono i filo-dem. La Casaleggio se ne lava le mani facendo capire che la decisione di indire la consultazione «spetta solo al capo politico». Il punto è cruciale, perché gli attivisti stanno bombardando le pagine social dei leader stellati con frasi di questo tenore: «Mai con il Pd! Il partito delle banche, del Jobs Act, dell'austerità», oppure «vogliamo un gialloverde bis», e ancora «state per allearvi con chi avete sempre combattuto più di tutti al grido di onestà. Siete diventati esattamente come tutti gli altri».
Max Bugani e Gianluigi Paragone, nella giornata di ieri, hanno scelto di sintonizzarsi sulle frequenze della base. Il senatore ed ex giornalista in un'intervista al Corriere della Sera ha spiegato: «Se dovessi scegliere un partner di governo cercherei uno spiraglio con la Lega, partito che, come il Movimento, si è battuto contro il sistema liberista e finanziario».
Paragone ha poi annunciato che in caso di esecutivo giallorosso tornerebbe a fare il giornalista. Il socio di Rousseau Bugani ha scritto un lungo post in cui ha attaccato il Pd, dettando le condizioni: «sì a Conte» e «sì ai 10 punti», altrimenti il voto.
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