Spaccare in due l'euro è l'unica salvezza. Parola del premio Nobel per l'Economia, Joseph Stiglitz. Bisogna coniare Eurino ed Eurone per correggere il peccato originale che la moneta unica porta con sè dalla nascita. Ovvero un regime di cambi fissi la cui rigidità, non essendo tollerabile dai Paesi più deboli, ha generato mostri come l'austerity e accelerato il processo di deflazione salariale già innescato dalla globalizzazione. Se la lira, il fiorino o la peseta non fossero state rottamate in nome di un'unione di facciata, l'onda d'urto della globalizzazione sarebbe stata attenuata da quella che l'ex consigliere di Bill Clinton chiama «magia del mercato libero» e che potremmo tranquillamente tradurre con «svalutazione competitiva». Una disciplina che l'Italia ha sempre praticato in passato con lo stesso slancio di un saltatore con l'asta. Così non è stato, e l'assenza di paracadute come un'autorità politica economica unica, un sistema bancario unificato e una mutualizzazione del debito (una bestemmia, per i tedeschi) rende indifferibile la divisione. Un'idea, peraltro, già accarezzata qualche anno fa dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e ventilata perfino della Confindustria tedesca in uno spericolato intervento che mal contava gli effetti della rottura sull'export made in Germany.
Il break-up immaginato da Stiglitz non ha nulla di traumatico: assomiglia a quelle separazioni consensuali cui spesso marito e moglie arrivano per accertata consunzione del rapporto. Insomma: dirsi addio, ma senza rancore. Non semplice, alla luce degli atteggiamenti sempre meno solidaristici e sempre più divisivi cui ci ha abituato Eurolandia. Non agire sarebbe però molto peggio, teorizza Stiglitz, che all'argomento ha dedicato un intero libro il cui titolo - «L'euro e la sua minaccia al futuro dell'Europa» - è già un programma. Spiega il professore: «È importante che ci sia una transizione fuori dall'euro, con un divorzio amichevole, possibilmente raggiungibile con un passaggio a un sistema di euro flessibile, con un'area più forte del Nord e una più debole del Sud. Non sarà facile, chiaramente». C'è infatti da rimuovere il macigno della gestione dei debiti. La soluzione prospettata è la ridenominazione di «tutti i debiti in euro in debiti dell'area meridionale». D'altra parte, sottolinea il premio Nobel, bisogna prendere atto dell'impossibilità di far coesistere l'efficienza teutonica con il genio e la sregolatezza latine. Nè praticabile è l'alternativa, suggerita dall'Italia ma bocciata da Berlino, di prevedere sanzioni anche per chi (come appunto la Germania) non rispetta i limiti stabiliti sul surplus commerciale.
Quindi, resta sul campo una sola opzione: l'introduzione in Europa di una serie A e di una serie B delle monete. Nella visione di Stiglitz sarebbe meglio se la Germania compisse in totale autonomia il primo passo verso l'uscita dall'euro, portandosi dietro i cosiddetti Paesi «virtuosi». Cioè quelli nordici che all'interno della Bce, assieme alla Bundesbank, fanno la fronda a Mario Draghi. La Grecia dovrebbe restare fuori dai giochi e tornare alla dracma così come era nelle intenzioni dell'ex ministro Yanis Varoufakis. Di fatto, una sorta di eutanasia dell'euro che non si tradurrebbe in un certificato di morte dell'intero progetto europeo.
Le altre istituzioni dell'Ue rimarrebbero intatte: ci sarebbero ancora libero scambio e libera circolazione delle persone.Infine, un consiglio a Matteo Renzi, alle prese con la montagna del debito pubblico: deve finanziare gli investimenti pubblici «con un aumento delle tasse». Meglio di no, professore: abbiamo già dato.
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