Lo scrivente non può che essere un «genitore paNino».
Riguardo a cosa significhi esattamente, nutriamo ancora qualche dubbio. Eppure ci siamo sforzati nello studiare le differenze tra le quattro categorie materne e paterne individuate da Eva Millet. Lei, 50enne catalana «giornalista specializzata in pedagogia», ha scritto per Longanesi il libro «di successo», Felici e imperfetti: come smettere di fare gli ipergenitori. La dottoressa Millet - forte di una «laurea in Scienza dell'informazione presso l'UAB» e delle sue collaborazioni con «la radio della BBC, il quotidiano The Guardian, il magazine La Vanguardia e la rivista Historia y vida» - ha catalogato le tipologie di marito e moglie (con prole) che, a causa del patologico senso di protezione, pongono le basi per la futura rovina dei propri bimbi, i quali - da grandi - saranno insicuri e complessati, divenendo a loro volta dei genitori assolutamente inadeguati.
Le quattro categorie sono così esemplificate: 1) «guardia del corpo»; 2) «madri tigre»; 3) «genitori panino»; 4) «genitore manager». Tutta gente infettata dallo stesso virus, l'«ipergenitorialità»: cioè quella malattia che spinge madri (e, purtroppo, anche padri) a interferire in tutto (ma proprio tutto) ciò che riguarda il proprio bambino (che, tendenzialmente, rimane tale fino ai 25-30 anni).
E qui scende in campo la professoressa Millet che - a giudizio della critica - «con rigore e una punta di ironia offre una lucida analisi delle famiglie di oggi, fornendo una serie di utili soluzioni per correre ai ripari, spiegandoci come sia indispensabile farsi da parte e smettere di iperproteggere i nostri piccoli».
«Un tempo non lontano - è la tesi dell'autrice di Felici e imperfetti - si credeva che fossero i bambini a dover trovare il modo di divertirsi, e non i grandi al posto loro. Il famoso trovati qualcosa da fare era la classica risposta all'altrettanto famoso mi annoio, e guai al bambino che disturbava i grandi. Oggi, al contrario, in un numero infinito di famiglie i bambini sono diventati il sole attorno al quale orbitano i genitori, la cui unica missione nella vita sembra essere quella di offrire il massimo possibile ai propri figli, costi quel che costi». E così può capitare che nello stesso giorno, appena uscito da scuola, il poveretto abbia alle h.16 lezione di judo, alle h.17 lezione di pianoforte e alle h.18 lezione di catechismo. Tutti impegni rigorosamente seguiti dalla «madre tigre», esigentissima, al pari del «padre manager» che l'indomani accompagna il figlio a calcetto non per farlo divertire, ma sperando che diventi un campione e che guadagni come CR7; nel frattempo lui - il papà - spesso e volentieri dagli spalti urla contro l'arbitro reo di aver ammonito il suo baby fuoriclasse e magari tra il primo e il secondo tempo si mena pure con i genitori dei giocatori della squadra avversaria. A fine gara (o alla fine di una delle tante lezioni) la «guardia del corpo» e il «genitore panino» non molla la creatura e continua a proteggerla fino al ritorno a casa. Dove il marcamento continua incessantemente. Così per giorni, settimane, mesi, anni.
Il risultato? «Una generazione che soffre di scarsa tolleranza alla frustrazione, bassa resilienza e minime capacità di adattamento.
In poche parole: una generazione che faticherà a vedersela da sola col mondo là fuori, perché la verità è che, piaccia o no, la vita è per tutti una corsa a ostacoli».Regola d'oro per non inciampare: tenersi alla larga dai genitori. Almeno da quelli incapaci di capire che il segreto della felicità familiare è nella sua imperfezione. Forse.
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